I messaggi inviati dalle caselle di posta elettronica aziendali non possono essere utilizzati come prova dalle aziende nei processi. Questo quanto ha stabilito una recente decisione della Suprema Corte, delineando un confine netto sulla privacy delle comunicazioni elettroniche in ambito lavorativo. La vicenda riguardava alcuni ex collaboratori accusati di aver favorito imprese concorrenti. L’azienda aveva raccolto messaggi provenienti da indirizzi personali, transitati attraverso la rete interna, per sostenerne la responsabilità.
I magistrati hanno respinto tale impostazione: la consultazione di corrispondenza privata è stata considerata illegittima e il suo impiego in giudizio non è stato ammesso. Secondo la Corte, i messaggi inviati da caselle personali rientrano a pieno titolo nella sfera della vita privata, anche se passano dai sistemi del datore di lavoro.
Privacy sopra l’interesse aziendale
La decisione richiama l’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che protegge la riservatezza delle comunicazioni, e lo Statuto dei Lavoratori, che disciplina l’uso degli strumenti di controllo. I giudici hanno sottolineato che nessuna policy interna può derogare a questi principi.
L’impresa, in mancanza di procedure trasparenti e di un consenso esplicito, non può né visionare né archiviare messaggi personali.
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