La fotografia di un’Italia divisa in due, tra Nord e Sud (o in tre, se vogliamo differenziare il Centro) rappresenta il Paese anche se si guarda al sistema di welfare. La protezione sociale del Paese si spalma con la stessa irregolarità che segnano tutti gli indicatori socio-economici. Con una variante in più: l’autonomia regionale. Si potrebbe dire che l’autonomia dei territori fa bene al welfare e quindi garantisce una migliore protezione sociale. I territori governati da amministrazioni regionali che godono di uno statuto speciale mostrano migliori performance nel bouquet che raccoglie le componenti del welfare che conosciamo: previdenza, sanità, istruzione, politiche sociali.
Il rapporto
Su alcune di queste voci la competenza regionale è diretta (sanità e politiche sociali con particolare riguardo alla formazione per il lavoro e l’assistenza socio-sanitaria), su altre parziale (l’istruzione è un capitolo mediato sul territorio dalla gestione degli immobili e da una certa flessibilità organizzativa), su altre pressoché inesistente (la previdenza obbligatoria è uguale per tutti, in tutta Italia, quella complementare può contare su qualche parziale surroga territoriale, oltre che aziendale).
La classifica composta dal 2020 nel Rapporto Welfare Italia – a cura di Teha Group e Gruppo Unipol – mette in fila le regioni italiane attraverso la produzione del Welfare Italia index, «uno strumento di monitoraggio, basato su Kpi (Key Performance Indicator) quantificabili, monitorabili e riproducibili nel tempo, relativi alla capacità di risposta del sistema di welfare nei territori, attraverso una vista sintetica declinata su base regionale», come spiega Luca Celotto, consultant di Teha Group.
Ai primi quattro posti ci sono quattro territori governati da amministrazioni autonome: nell’ordine le due Province autonome di Trento e di Bolzano, il Friuli Venezia Giulia e la Valle d’Aosta, che performano molto meglio di tutte le altre regioni del Nord Italia. Anche nella parte bassa della classifica, quella del Sud Italia, Sardegna e Sicilia vanno meglio di tutte le altre che compongono il Mezzogiorno (con l’eccezione della Puglia).
Una sorpresa? Sì e no. Se si guarda la classifica delle risorse, a diverso titolo indirizzate sul territorio regionale per i servizi e le prestazioni di welfare, si trova una parziale spiegazione. La Sicilia raggiunge il quarto posto, superando la Provincia autonoma di Bolzano, se si misura la spesa destinata al welfare. Le regioni che hanno autonomia amministrativa riescono a convogliare sul territorio una quantità più ragguardevole di risorse da destinare alla protezione sociale. Sono in grado di mettere a disposizione più opportunità per la difesa sociale dei propri cittadini.
«L’indice sintetico che viene compilato», spiega Elisabetta Pugliese, responsabile Policy Unit, Institutional & Public Affairs di Unipol, «e che da vita al Welfare Italia Index si compone di due fattori: un indice di spesa, input, e un indice di output, cioè di esiti strutturali che rappresentano i risultati delle politiche di welfare; da una parte ci sono le risorse utilizzate, dall’altra il contesto socio-economico che viene generato».
Il giudizio
Dall’incrocio di input (risorse impiegate) e output (risultati ottenuti: indice di disoccupazione, numero di neet, ricorso soddisfacente ai presidi sanitari, l’assistenza socio-sanitaria garantita, eccetera) emerge un giudizio implacabile sull’efficienza regionale, sia della macchina amministrativa, sia dell’organizzazione dei territori. Quindi se le regioni (e le province) a statuto speciale sono in testa nella spesa, godendo dei vantaggi offerti e garantiti dall’autonomia amministrativa, dovrebbero esserlo anche nei risultati ottenuti. Il delta che si crea tra input e output misura l’efficacia degli interventi e la mancata (o la marcata) dispersione delle risorse. Se le Province di Trento e di Bolzano, il Friuli Venezia Giulia e la Valle d’Aosta confermano il primato in entrambe le classifiche, risulta dimostrata l’efficienza dell’organizzazione e dell’amministrazione. Il fatto che la Sicilia, in testa nella classifica di spesa, precipiti in fondo all’indice – pur restando tra le migliori del Sud – non depone a favore della sua efficienza. Se i risultati del contesto socio-economico restano mediocri (o insufficienti) vuol dire che molte delle risorse abbondanti utilizzabili e utilizzate, sono state sostanzialmente sprecate. E qui si conferma, purtroppo, il “fattore Sud” che frena e imbriglia anche il vantaggio derivante dall’autonomia regionale.
L’indicatore sintetico, che determina la classifica, consente di identificare a livello regionale, i punti di forza e le aree di criticità in cui è necessario intervenire. Sono presi in considerazione indicatori riguardanti le politiche sociali, la sanità, la previdenza, l’educazione e la formazione, ambito inserito tra i pilastri del sistema di welfare complessivo del Paese dal Think Tank Welfare, Italia nell’edizione 2021, anche alla luce di quanto osservato durante la crisi Covid-19.
Pnrr
L’edizione 2025, rispetto ai dati 2024, conferma la polarizzazione nella capacità di risposta del sistema di welfare delle Regioni italiane. Il divario tra Regioni “migliori” e “peggiori” cresce e si assesta infatti a 23,6 punti percentuali (nel 2024 era pari a 21,7 punti). Inoltre, è interessante notare come all’ultimo posto nelle due edizioni 2024 e 2025 del Welfare Italia Index si confermi il medesimo territorio, ovvero la Calabria.
Analizzando nel dettaglio la variazione dei punteggi delle singole Regioni con riferimento agli indicatori di spesa e strutturali dell’Indice, emerge un quadro di lieve aumento nell’ambito della spesa, interpretabile anche alla luce dei programmi di investimento a livello italiano ed europeo, come il Pnrr e più in generale la programmazione europea 2021-2027; al contrario, si registra un lieve peggioramento negli indicatori di output, riconducibile agli impatti di un parziale rallentamento economico e delle spinte inflazionistiche.
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