Il caro bollette per famiglie e imprese è un tema caldo sul tavolo dei Governi da tempo. Negli ultimi anni, però, complice l’invasione della Russia in Ucraina e una transizione energetica a singhiozzo, il peso dettato dalla volatilità dei prezzi del gas si è fatto rilevante.
Tra famiglie, Pmi e grandi imprese, però, la situazione più difficile riguarda al momento quella delle piccole medie imprese, cuore del tessuto imprenditoriale italiano, per le quali però – nelle ultime ore – si sono aperti degli spiragli.
Per quanto riguarda le famiglie, il confronto finale con le bollette europee è quasi uguale, a parità di consumo. Il fatto che paghiamo dunque bollette care, è vero, ma che queste siano molto più care di altri Paesi è un mito da sfatare. Pur riconoscendo la fragilità del sistema italiano, va sottolineato che l’Italia ha sì i prezzi dell’energia all’ingrosso più alti della media Ue (a causa del gas), ma il consumatore si salva perché tra le voci che compongono la bolletta, quella legata ai costi delle reti elettriche di distribuzione è decisamente più bassa. E va, in un certo senso, a “calmierare” il conto finale.
Secondo dati Eurostat, il prezzo della bolletta di energia elettrica di un cliente domestico medio (2 Mwh/anno) è di 60 euro al mese in Italia e di 57 euro al mese in Europa. Di questi 60 euro il 57% è determinato dalla spesa legata all’energia, e dunque al prezzo all’ingrosso; il 25% da tasse e imposte e il 18% dai costi di rete. Traslando la bolletta nell’Area Euro, il mix cambia: i prezzi energetici scendono (pesando per il 47%), i costi di rete lievitano notevolmente (31%) e le tasse sono leggermente più basse (22%).
Considerando, dunque, che al momento sul costo dell’energia all’ingrosso in Italia poco si può fare, un occhio di riguardo va dato alla rete di distribuzione elettrica che non pesa particolarmente sulla bolletta e ha un ruolo chiave per abilitare la transizione energetica sia per la crescente connessione di impianti distribuiti (oltre il 70% della capacità rinnovabile addizionale da installare entro il 2030 in Italia verrà infatti connessa alla rete di distribuzione), sia per il ruolo sempre più attivo dei consumatori finali nel sistema elettrico, che diventano prosumer e promotori di “attività” innovative.
In questo quadro, resta però sul tavolo il problema più grande, ovvero quello di un mix energetico sbilanciato sul gas che, in questo momento, pesa molto sul cuore produttivo del Paese.
Le piccole e medie imprese spesso pagano di più per l’elettricità rispetto alle grandi aziende a causa di una combinazione di fattori, tra cui la minore capacità di negoziazione, l’acquisto di volumi inferiori e, in alcuni casi, la mancanza di familiarità e garanzie per avviare strumenti come i Power Purchase Agreement (PPA): accordi di acquisto di energia a lungo termine che possono offrire prezzi più stabili e potenzialmente più bassi, e rappresentano l’unica soluzione concreta e immediata per ottenere il famoso “disaccoppiamento” tra i prezzi delle rinnovabili e quelli del gas, perché permettono di comprare elettricità prodotta da fonti “verdi” al di fuori del mercato all’ingrosso.
La loro adozione da parte delle Pmi è ancora limitata, come evidenziato anche dalla Cgia di Mestre. Ma la situazione potrebbe presto cambiare. Il nuovo schema italiano di garanzie statali per i contratti di compravendita di energia (PPA) renderà più semplice l’accesso alle Pmi che avranno maggiore sicurezza negli investimenti. Il gestore dei servizi energetici GSE potrà infatti agire da garante di ultima istanza nell’ambito del sistema. Il decreto attuativo è in fase di pubblicazione e prevederebbe la continuità contrattuale del PPA anche in caso di inadempienza. Secondo le prime previsioni, le garanzie statali potranno sostenere fino 10 Gw di contratti entro il 2030. Una soluzione nuova che di fatto rende bancabili anche per le Pmi questi vantaggiosi contratti.
Viceversa, le grandi aziende hanno spesso una maggiore capacità di negoziazione con i fornitori di energia, grazie alla loro maggiore influenza sul mercato. Questo consente loro di ottenere condizioni contrattuali più favorevoli, inclusi prezzi più bassi nei PPA. Le imprese energivore, ovvero quelle ad alto consumo di energia, possono beneficiare poi di aiuti e importanti agevolazioni sulle bollette energetiche. Questi incentivi, introdotti per sostenere le aziende in un contesto di elevati costi dell’energia, si sono tradotti di fatto in riduzioni degli oneri di sistema o crediti d’imposta. Le agevolazioni sono rivolte sia alle grandi imprese energivore che alle Pmi, ma solo quelle con potenza disponibile elevata.
In prospettiva, la situazione si risolve quindi anche cambiando e migliorando il mix energetico. In primis, aumentando la quota di rinnovabili, e poi, aprendo il Paese al nuovo nucleare. L’Italia è ancora molto sbilanciata verso il gas naturale con una quota del 44% a fronte del 3% francese (che ha sopperito da sempre con il nucleare), del 19% spagnolo e del 17% tedesco. Questa quota determina ancora fortemente i prezzi a megawattora. Pur in crescita, la quota di rinnovabili, è frenata principalmente da burocrazia, iter autorizzativi lunghi e complessi a livello locale, e da una mancanza di coordinamento tra i diversi enti coinvolti.
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