Per comprare casa nelle grandi città italiane servono quasi sette annualità di stipendio. La media, per la precisione, si attesta a 6,8: un dato che nasconde differenze profonde tra territori e che restituisce l’immagine di un mercato immobiliare ancora lontano dall’essere davvero accessibile per molte famiglie. A guidare la classifica delle città più costose è ancora una volta Milano. Nel capoluogo lombardo, per comprare un’abitazione occorrono 12,9 anni di reddito, quasi il doppio rispetto alla media delle grandi aree urbane. Milano resta anche la città con i prezzi più elevati d’Italia, con una quotazione media di 4.466 euro al metro quadrato. Seguono Roma, con 9,2 annualità, e Firenze, con 9,1, entrambe ben al di sopra di una soglia considerata sostenibile per l’accesso alla proprietà.
Scendendo nella graduatoria (elaborata dall’ufficio studi del Gruppo Tecnocasa), la pressione si attenua ma non scompare. Bologna richiede 7,6 annualità, Napoli 7,1, mentre città come Torino, Verona e Bari si collocano attorno alle cinque. Le realtà più accessibili restano Palermo e Genova, dove bastano rispettivamente 3,4 e 3,5 annualità, grazie a prezzi medi decisamente più contenuti, poco sopra i 1.100 euro al metro quadrato.
Il confronto
Il confronto con il passato aiuta a inquadrare meglio questi dati. I livelli attuali, pur elevati, restano inferiori ai picchi toccati prima della crisi finanziaria. Nel 2007, quando i prezzi immobiliari avevano raggiunto l’apice, per acquistare una casa nelle grandi città servivano oltre dieci annualità di stipendio. All’epoca la città più costosa era Roma, con 14,8 anni di reddito, seguita da Milano con 14. La capitale ha mantenuto il primato fino al 2019, anno in cui il sorpasso di Milano ha segnato un nuovo equilibrio del mercato italiano.
A spiegare l’andamento recente è soprattutto la dinamica dei prezzi. «I fattori che hanno determinato l’aumento delle annualità necessarie per acquistare casa sono prevalentemente legati alla crescita delle quotazioni immobiliari», osserva Fabiana Megliola, responsabile dell’ufficio studi Tecnocasa. Negli ultimi dieci anni, a livello nazionale, i prezzi delle abitazioni sono saliti dell’11,7%, con differenze molto marcate: Milano ha registrato un aumento medio del 54,5%, seguita da Bologna con il 49,6%. Al contrario, città come Genova (-32,8%), Roma (-4,9%) e Palermo (-2,3%) hanno visto un ridimensionamento dei valori.
I tassi di interesse
Un ruolo importante è giocato anche dalle condizioni finanziarie: i tassi di interesse stanno infatti favorendo l’accesso al credito e sostengono la domanda, soprattutto nelle aree più dinamiche. Milano rappresenta un caso a parte: una domanda strutturalmente elevata, la presenza di investitori e un’intensa attività di riqualificazione urbana e infrastrutturale hanno spinto le quotazioni ben oltre la media nazionale. In altre città, come Firenze e Roma, la crescita del turismo e il fenomeno degli affitti brevi hanno contribuito a ridurre l’offerta disponibile per l’acquisto, soprattutto nelle zone centrali.

«Ogni mercato ha le sue specifiche dinamiche», sottolinea Megliola. Il caso di Genova è particolare: negli ultimi dieci anni il capoluogo ligure ha registrato il calo più marcato, penalizzato da un’offerta vetusta che necessita di importanti interventi di riqualificazione. Una debolezza strutturale che ha costretto i prezzi ad adeguarsi verso il basso, rendendo oggi la città una delle più accessibili per l’acquisto della casa.
Negli ultimi mesi, tuttavia, qualcosa sta cambiando. L’interesse degli investitori sta tornando su Genova, anche in vista delle ricadute economiche e occupazionali attese dal progetto del Terzo Valico, destinato a rafforzare i collegamenti logistici e infrastrutturali tra il Nord-Ovest e il resto d’Europa. È un esempio delle modalità in cui le grandi opere possono incidere, nel medio periodo, anche sulla percezione del valore immobiliare e sull’attrattività di un territorio.
Quadro complesso
Il quadro diventa ancora più complesso se si allarga lo sguardo oltre il mercato della compravendita. Secondo un recente studio di Cdp, l’accessibilità alla casa è ormai un’emergenza strutturale, non solo in Italia ma in gran parte d’Europa. Nel nostro Paese circa 1,2 milioni di famiglie vivono in condizioni di difficoltà legate a questo snodo, soprattutto nelle grandi aree urbane. Tra il 2019 e il 2023, mentre nell’Ue i prezzi delle abitazioni sono aumentati del 23% e i canoni di locazione dell’8%, i salari reali sono diminuiti del 3%, ampliando il divario tra redditi e costi sostenuti per l’alloggio. Nelle città italiane, il peso della dimora sul reddito disponibile supera spesso le soglie di sicurezza: in media gli affitti assorbono il 35% delle retribuzioni nette, ben oltre il 30% considerato limite di sostenibilità. A Milano e Roma l’incidenza supera il 60%, rendendo difficile non solo acquistare, ma anche restare in affitto nei territori dove la domanda di lavoro è più elevata.
Paradosso evidente
Il paradosso è evidente: le città che concentrano le maggiori opportunità economiche sono anche quelle in cui l’accesso alla casa risulta più problematico. Una dinamica che rischia di frenare la mobilità dei lavoratori, soprattutto giovani, e di trasformare il tema in un vero e proprio collo di bottiglia per la crescita delle città. Le prospettive restano problematiche: «Per il 2026 i prezzi delle case sono attesi ancora in crescita», avverte Megliola, «e questo potrebbe tradursi in un nuovo aumento delle annualità di stipendio necessarie per acquistare un immobile».
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