C’è una norma del ddl Semplificazioni a rischio incostituzionalità: il tentativo di rendere più semplice il mercato degli immobili provenienti dalle donazioni rischia di pregiudicare i diritti degli eredi. Se ne sono accorti in tanti nella maggioranza dopo le ripetute segnalazioni di esperti di diritto di famiglia. È una norma che, se approvata (il provvedimento sarà votato il 20 novembre alla Camera), riscriverebbe il diritto di famiglia in peggio, con effetti retroattivi tutti da decifrare.
All’articolo 44 del disegno di legge 2655 si modificano diversi commi in materia di successione. Sappiamo che spesso le famiglie, anche per aggirare la normativa che prevede la tassazione sull’eredità, preferiscono fare delle donazioni in vita – anche a scapito della quota di legittima – per evitare litigi e scontri tra parenti. Già in passato, l’aveva denunciato il Giornale nel 2019, i Cinque Stelle avevano presentato diverse proposte di modifica della norma sulle donazioni che avrebbero compresso i diritti degli eredi.
A oggi, il Codice civile tutela i diritti dei cosiddetti «eredi legittimari» attraverso la possibilità, per chi si sentisse danneggiato, di rivendicare la lesione del proprio status. Ci sono degli articoli ad hoc che definiscono la chiara indicazione delle quote di legittima, le azioni per reintegrarne la lesione (azione di riduzione e restituzione), ma soprattutto la tutela dell’erede se il donatario risultasse incapiente attraverso il diritto alla restituzione del bene donato (tutela reale, prevista agli articoli 561 e 563 del Codice civile), anche nei confronti dei terzi acquirenti dal donatario.
Ormai da una decina di anni, chi compra beni provenienti da donazione si cautela assicurandosi contro il rischio grazie a una polizza dal costo irrisorio e una tantum, pari allo 0,2-0,3% del valore della casa. Uno strumento che oggi tutela il legittimario, l’acquirente e la banca impegnata nel mutuo di circa 20mila immobili all’anno. Tanto che il mercato di beni oggetto di donazione è florido e vale intorno ai 3 miliardi di euro l’anno. Secondo la Bocconi le polizze donazione «hanno facilitato compravendite e accesso al credito».
Il regime transitorio della norma prevede invece di potersi opporre alle donazioni lesive già effettuate entro 6 mesi (contro i 20 anni attuali). Questo porterebbe alla creazione di eredi di serie A ed eredi di serie B, con i minori di fatto spogliati di gran parte dei loro diritti. Modificando l’attuale termine ventennale per opporsi alla donazione e il termine decennale per l’esercizio dell’azione di riduzione e restituzione prevista per tutti gli eredi, conosciuti e sconosciuti al momento della morte, gli incapaci e soprattutto i minori, dando loro la possibilità di ottenere indietro il bene «libero da ipoteche», scatterebbe il potenziale declassamento del diritto reale degli eredi a ottenere il bene donato, trasformato in un «diritto di credito»: non più la garanzia reale di rifarsi sul bene ma solo il diritto a un indennizzo. Secondo un parere dello studio legale Previti di Roma, «la riforma stravolge la quota legittima, con modalità disorganiche», e in generale minori ed eredi sopravvenuti vedrebbero «strozzata la salvaguardia dei propri diritti, in ragione della compressione temporale del periodo loro concesso» per opporsi.
Se si guarda al passato, il mero diritto di credito è molto complesso da incassare. Secondo i dati ufficiali il tasso medio di crediti giudizialmente riconosciuti ai privati nel periodo 2006-2021 è pari al 55,8%, calcolato su una media tra il 65,2% di recupero in caso di garanzia reale, pegno e ipoteca e del 44,6% in assenza di garanzia reale, percentuale che negli ultimi 16 anni è calata al 37% nel 2021. Facciamo un esempio: un figlio di 30 anni può vendere un immobile donato dal padre senza l’opposizione del fratello, minorenne al momento della donazione. A legislazione vigente, il secondo figlio è tutelato dagli eventuali danni patrimoniali per altri 20 anni. Se passasse la norma invece, una volta raggiunta la maggiore età resterebbe con un diritto di credito nei confronti del fratello, statisticamente molto difficile da incassare.
L’alternativa sarebbe l’introduzione dei cosiddetti «patti successori», oggi esclusi dall’articolo 458 del Codice civile, ma questo significherebbe rivedere interamente l’impianto normativo. Quanto alla potenziale incostituzionalità della norma, secondo il professor Alfonso Celotto «sembra risultare in conflitto con il principio di eguaglianza di cui all’articolo 3 della Costituzione, perché introduce un’irragionevole disparità di trattamento sulla tutela dell’asse ereditario».
Il problema è che, come ha già scritto Il Giornale, l’Europa vuole aumentare la tassa sull’eredità, in nome del combinato disposto denatalità/invecchiamento. Avremo sempre meno buste paga (8 milioni i lavoratori in meno stimati nel 2070) e sempre più anziani. Per rimpinguare gli assegni Inps lo Stato sarà costretto a fare cassa sui beni che riceveremo dai nostri genitori. Ocse, Ue e Fmi puntano al tesoretto nascosto nelle case e ai patrimoni che i nostri genitori hanno accumulato in questi anni, con Bruxelles che spingerà per rendere le case comunque sempre più green.
L’aumento degli estimi catastali non sarà più rimandabile a lungo, così come sarà inevitabile l’aumento delle tasse di successione. Oggi in Italia l’eredità tra parenti in linea diretta, ossia figli o genitori, è tassata con un’aliquota del 4% (tolti i debiti) oltre 1 milione di euro. Negli altri Paesi Ue le aliquote sono quasi tutte più alte e scattano a franchigie più basse. Secondo calcoli recenti, con una flat tax al 10% sull’eredità lo Stato incasserebbe circa 10 miliardi l’anno. Ecco perché la donazione in vita sarà sempre più uno strumento di cessione del patrimonio. A meno che non peggiori una delle norme che più ha garantito il passaggio di mano (quasi) indolore della principale ricchezza italiana, la casa di proprietà che si tramanda.
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