Immaginatevi un buon padre di famiglia sovraindebitato per una volta e mezzo i suoi redditi con in mano talmente tanti immobili malgestiti che potrebbero abbattere il suo debito e avrete l’identikit dello Stato. Della dismissione del suo enorme patrimonio immobiliare si favoleggia da decenni. Il tentativo più «serio», la cartolarizzazione dei primi anni Duemila, si è conclusa con un fallimento che ha arricchito tutti i player dell’operazione tranne lo Stato. Ecco perché quando il Demanio ha annunciato un’operazione di buon senso sulla valorizzazione dei suoi immobili con l’intervento dei privati e una cabina di regia affidata al sottosegretario al Mef Lucia Albano si è capito che stavolta siamo sulla strada giusta.
Sono 383 i primi immobili, distribuiti su tutto il territorio nazionale, messi a disposizione per una valorizzazione a cui potrebbe succedere una vendita. Quattro le possibili destinazioni d’uso: culturale turistico (per 205 immobili), destinazioni miste (per altri 114), social/senior housing e student housing rispettivamente per gli ultimi 35 e 29 immobili. A fare la parte del leone è la Sicilia con 67 beni, sguita da Lazio (54) e Lombardia (38). Il Demanio punta anche ad impegnare 5,5 miliardi di euro entro il 2026, di cui 2,1 miliardi da realizzare e 3,4 miliardi di euro da avviare per riqualificare almeno 5 milioni di metri quadrati di immobili.
Tra questo patrimonio da valorizzare c’è l’Abbazia di San Cassiano a Terni (Umbria), con una superficie fondiaria di 37.840 metri quadri, tutti sottoposti a vincolo storico-artistico. C’è l’Archivio di Stato di Napoli (Campania) ospitato nella Chiesa dei Ss. Severino e Sossio (di cui ospita le reliquie), che fa parte dell’antico complesso monastico dei Benedettini istituito nel 902. C’è il complesso barocco della Basilica di Superga (Torino, Piemonte), inaugurato nel 1731, alto 75 metri e lungo 51 a 672 metri sul livello del mare. C’è l’ex carcere di Marsala, in Sicilia è nell’ex Castello federiciano che fa parte dell’area archeologica dell’antica Lilybeo e si estende in un’area archeologica di circa 3.500 metri quadri che comprende anche il fossato punico ma anche il Palazzo del Senato a Milano, dal 1806 nell’omonima via, sede dell’Archivio di Stato di Milano e originariamente sede del Collegio Elvetico. Fino alle Vele di Calatrava a Roma, progettate per l’incompiuta Città dello Sport di Tor Vergata a Roma, che si estendono per circa 30mila metri quadrati, con un’altezza massima di 75 metri.
Quanto vale il patrimonio del Demanio? Circa 63 miliardi di euro, con 44mila immobili. Negli ultimi anni c’è stato un significativo aumento degli interventi (+47%) e degli investimenti (+153%) rispetto al periodo pre e post pandemico per accelerare la rigenerazione urbana, migliorare l’efficienza energetica degli edifici e promuovere la sostenibilità ambientale nelle aree urbane. Dei 283 miliardi di immobili pubblici in totale, 217 miliardi sono in uso alla Pubblica amministrazione per fini istituzionali, residenziali o commerciali, 54 miliardi sono in uso a privati (a titolo gratuito o oneroso) o in ristrutturazione e 12 sono del tutto inutilizzati.
L’apertura ai privati è una piccola svolta rispetto alle strategie del passato. Nei primi anni del Duemila con le famose cartolarizzazioni degli immobili in mano agli enti previdenziali per consentire allo Stato di ottenere liquidità senza dover cedere direttamente la proprietà. Non un’idea nuovissima, se si pensa che nel 1789 l’Assemblea Nazionale francese, proprio per monetizzare i beni ecclesiastici confiscati e non facilmente alienabili, deliberò un bond che fruttava il 5% d’interesse garantito con l’ipoteca sui beni confiscati e ammortizzabile in base a ciò che si sarebbe realizzato con i beni confiscati. Un bond talmente appetibile da diventare una sorta di carta moneta, usata come le attuali banconote.
Cosa è successo
L’operazione, strombazzata come «la più grande vendita di immobili pubblici mai fatta in Europa» con il conferimento degli immobili a società veicolo (Spv), la Società Cartolarizzazione Immobili Pubblici di diritto lussemburghese o Scip, che a sua volta emetteva obbligazioni sui mercati internazionali garantite dal valore del patrimonio immobiliare ricevuto e dal flusso di incassi attesi derivanti dalla vendita, con l’intermediazione delle banche di investimento e una precisa classe di rischio. Una volta rivenduti gli immobili (gestiti dagli enti ex proprietari) si sarebbero rimborsati i titoli e pagati interessi, oneri accessori, commissioni eccetera. Nella prima tranche vennero venduti 27.512 immobili del valore di 5,1 miliardi a sconto del 30% ed emessi bond per 2,3 miliardi. Alla fine il saldo fu di 1,362 miliardi. La seconda Scip (62.880 unità immobiliari) andò peggio: valeva 10 miliardi, venne offerta a 7,8 con un bond da 6,7 miliardi in cinque emissioni. Per colpa di un rating troppo alto, la paura dei declassamenti di rating, la bolla immobiliare, i troppi contenziosi, il caos legislativo e burocratico il sistema si inceppò. E alla fine 13.574 unità restarono invendute, gli incassi furono inferiori del previsto, troppi gli interessi passivi eccetera. Alla fine ci guadagnarono tutti: banche, investitori, agenzie di rating, immobiliaristi, studi legali, ex inquilini. La Scip venne liquidata e creò un buco da 1,72 miliardi nel Bilancio 2009.
C’è il rischio che questa operazione del Demanio crei problemi? C’è il tema delle destinazioni d’uso, di come questi investimenti a lungo termine si incastrino nei piani urbanistici degli enti locali, alcune Regioni come la Sardegna hanno messo le mani avanti invocando i privilegi dello Statuto speciale che all’articolo 14 chiedono di entrare in possesso di questi beni «sul mercato», come l’ex batteria militare di Capo d’Orso a Palau e l’ex Intendenza di Finanza di Sassari fino all’Asinara. «Vogliamo offrire spazi più funzionali ed efficienti alla pubblica amministrazione e a restituire ai territori e ai cittadini immobili poco e male utilizzati», sottolinea il direttore dell’Agenzia del Demanio, Alessandra dal Verme.
Nel triennio 2015-2017 il Demanio ha venduto circa mille immobili, finalizzandone il 30% per un incasso medio annuo di oltre 20 milioni di euro. Un processo iniziato con la spending review elaborato dall’ex commissario straordinario Carlo Cottarelli, che aveva tentato con la realizzazione di una piattaforma informativa, una banca dati con dentro volumetrie ma anche andamenti dei costi energetici e gestionali. La privatizzazione del patrimonio pubblico ce la chiede l’Europa da anni per accelerare la riduzione del rapporto debito/Pil – ormai oltre il 170% dopo la pandemia – e guadagnarci almeno un punto di Pil, tra i 14 e il 16 miliardi di euro. In realtà lo Stato ha incassato in media circa 1 miliardo all’anno, dal 2011 al 2017, molto al di sotto delle troppo ottimistiche attese.
«Con la interoperabilità delle banche dati tra l’Agenzia del Demanio e l’Agenzia dei Beni confiscati alla mafia e la banca dati degli immobili pubblici che risiede al Mef per la prima volta abbiamo una visione unitaria e integrata della gran parte del patrimonio immobiliare pubblico – spiega a Moneta la Albano – per una governance strategica centralizzata che trasformi il patrimonio immobiliare pubblico da costo a volano sociale ed economico».
Da qualche anno alla valorizzazione del patrimonio pubblico partecipa anche Invimit, la Sgr interamente partecipata dal Mef, che da gestore di fondi immobiliari pubblici, si è trasformato in un facilitatore della rigenerazione urbana, con progetti «in dieci immobili pubblici distribuiti in sei regioni (Abruzzo, Liguria, Piemonte, Puglia, Toscana e Umbria) o la riconversione di un edificio a Trastevere in residenza universitaria», spiega l’ad Stefano Scalera, che ha in mente una mission etica di housing social «per sviluppare soluzioni abitative a canone sostenibile per neoassunti, giovani, famiglie e categorie fragili». «Siamo l’unica SGR a poter gestire fondi con rendimenti contenuti e di lungo periodo – è il ragionamento del manager – vogliamo contribuire all’abbattimento del debito pubblico, riducendo il fabbisogno finanziario di nuove strutture, d’accordo con il territorio, rigenerando un immobile per la nuova funzione».
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