Le Casse battono cassa. O meglio, chiedono al Governo di rafforzare la loro autonomia, soprattutto dopo aver dimostrato fedeltà nell’operazione Mediobanca. Do ut des? Enpam, Cassa Forense ed Enasarco (che insieme valgono il 50% del patrimonio di tutto il sistema delle Casse previdenziali: 124,7 miliardi nel 2024) si sono spese a favore di Mps, quindi contavano di poter incassare un dividendo non solo finanziario dall’operazione, avendo sostenuto il progetto sponsorizzato dal Governo.
Invece è stata più di una doccia fredda la bozza di decreto ministeriale predisposto dal sottosegretario Mef, Federico Freni, per regolare gli investimenti delle Casse. C’è voluto l’intervento del Ministero del Lavoro, guidato da una ministra sensibile al mondo delle professioni, Marina Calderone, per suggerire una nota tecnica integrativa e un’agenda di incontri che consenta un confronto sulla bozza di decreto, per rallentarne l’atterraggio. Sgradito.
I rapporti tra le Casse di previdenza (che rappresentano l’ente previdenziale di primo pilastro per circa 1,6 milioni di professionisti: dai medici ai biologi, dai commercialisti agli ingegneri) e l’attuale Governo sembravano di intesa totale. Circa un anno fa il ministro Giorgetti aveva ricordato che «l’ordinamento fiscale prevede incentivi agli investimenti nell’economia reale delle forme di previdenza complementare e degli Enti di previdenza obbligatoria», e «sebbene l’impiego delle risorse nel sistema Italia sia nel complesso positivo, non si può negare l’esistenza di spazi di miglioramento». Circa il 38% del patrimonio delle Casse è già investito in Italia, tra titoli di Stato, economia reale e banche.
In attuazione della delega fiscale, disse Giorgetti, «si potrebbe valutare l’introduzione di un’imposizione sostitutiva agevolata anche per gli enti previdenziali, pari a quella prevista per i rendimenti dei fondi pensione, attualmente al 20%», nonché valutare un intervento per trattare in maniera diversa chi investe “capitali pazienti” nel sistema Paese.
Queste considerazioni avevano indotto a credere che il decreto ministeriale per definire le norme di indirizzo di investimento degli Enti previdenziali – atteso da 14 anni – potesse preservare l’autonomia che le Casse rivendicano da sempre, adducendo i buoni risultati che hanno fatto lievitare il patrimonio da 55,7 a 124,7 miliardi proprio negli ultimi 14 anni.
Quando il testo è arrivato, per le Casse è stata una delusione cocente. Tetti, limiti, divieti, vincoli che hanno fatto dire che ci fosse in atto un vero e proprio tentativo di dirigismo che ha sorpreso innanzitutto il vertice dell’Adepp (l’associazione che raccoglie le Casse di previdenza privatizzate), e il suo presidentissimo, Alberto Oliveti. Proprio al termine di un percorso di piena condivisione con il progetto finanziario Mps-Mediobanca del Governo.
Sembrano aver avuto più peso le parole scritte poche settimane prima dalla Commissione di vigilanza sugli enti previdenziali, presieduta da Alberto Bagnai (leghista, come Freni e Giorgetti) che suggeriva l’opportunità di «introdurre regole più chiare e stringenti, prevedendo un necessario “bilanciamento” tra vincoli alle politiche di investimento delle Casse e l’adeguatezza della corporate governance degli Enti», vista «l’appartenenza degli organi di vertice delle Casse alle specifiche professioni cui sono legati i singoli enti può comportare in determinati casi l’assenza di una formazione professionale specifica nelle materie economiche, statistiche e giuridiche, presupposto necessario per l’efficace espletamento dell’incarico secondo professionalità, competenza e correttezza».
La “pagella” emessa dalla Commissione Bagnai era stata severa, nei confronti della media dei comportamenti delle 20 Casse: «Nell’attività di investimento delle Casse si registra un forte coinvolgimento degli advisor. Tale coinvolgimento, dovrebbe peraltro supportare le Casse nella definizione di politiche di investimento che tengano conto delle differenti specificità delle platee di riferimento. Tuttavia, dall’indagine è emersa una certa omogeneità delle politiche di investimento, che sembra quindi non essere in linea con tale premessa».
Il pendolo del Governo (e nella Lega) è tornato a oscillare contro i programmi di autonomia rivendicati dagli enti previdenziali dei professionisti. Forse solo un incidente generato dalla burocrazia di Palazzo, lontana dal mercato. Ma c’è chi crede che si tratti anche di una misura del nuovo centralismo statale che non può permettersi distrazioni e derive inattese sulla frontiera della previdenza. Il decreto ministeriale previsto dal decreto legge del 2011, secondo “necessità e urgenza”, è tornato nella liturgia del confronto tra Mef, Ministero del Lavoro e Casse. Se ne riparla nel 2026?
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