L’introduzione di una riforma previdenziale che abbassi l’età pensionabile a 64 anni per tutti i lavoratori potrebbe avere effetti devastanti sulla finanza pubblica italiana. Secondo un’analisi del Centro studi di Unimpresa, infatti, la modifica avrebbe un impatto economico strutturale significativo, che potrebbe tradursi in un incremento della spesa pensionistica di circa 40 miliardi di euro nel quinquennio 2025-2029, con un aumento annuale del numero di pensionati compreso tra 120.000 e 160.000 unità.
Incremento della spesa e impatto sul Pil
Nel caso in cui venisse adottata la riforma, il numero di nuovi pensionati aumenterebbe significativamente, con una stima tra le 120.000 e le 160.000 unità in più ogni anno. Già nel primo anno di applicazione (2025), l’incidenza della spesa pensionistica sul Pil passerebbe dal 15,3% previsto a 15,6%, con un incremento di 0,3 punti percentuali. Nei successivi cinque anni, questa crescita proseguirebbe progressivamente, con un picco atteso del 16,2% nel 2030, rispetto al 15,7% stimato per lo scenario attuale. La spesa per le pensioni continuerebbe a crescere nel lungo periodo, raggiungendo il 17,7% nel 2040, un valore ben superiore al 17,1% previsto con le attuali regole.
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Questa crescita della spesa porterebbe a un aggravio cumulato di circa 160-180 miliardi di euro tra il 2025 e il 2045, al netto dell’inflazione. Una cifra che, se non compensata, metterebbe sotto pressione i conti pubblici, soprattutto in un periodo in cui si prevede una riduzione graduale del deficit e un rientro sotto la soglia del 3% del Pil.
Effetti sul saldo previdenziale e sull’equilibrio tra occupati e pensionati
La riforma non comporterebbe solo un incremento della spesa, ma anche una contrazione della base contributiva attiva. Riducendo l’età di pensionamento, si ridurrebbero i contributi versati dai lavoratori, mentre aumenterebbero i benefici per un numero maggiore di pensionati. Sebbene gli importi pensionistici medi potrebbero essere più bassi, dovuti al calcolo basato su un numero inferiore di anni lavorativi, l’effetto combinato tra un numero crescente di pensionati e una maggiore longevità porterebbe comunque a una pressione crescente sulla spesa pubblica.
Un altro impatto negativo riguarda l’equilibrio tra occupati e pensionati. Con una maggiore quantità di pensionati e una base contributiva più ridotta, si rischierebbe una riduzione del tasso di attività, con effetti negativi sul potenziale di crescita dell’economia. Questo aggraverebbe ulteriormente il rapporto tra le generazioni, favorendo in modo sproporzionato le generazioni più anziane a scapito di quelle più giovani.
Rischio di insostenibilità e necessità di misure correttive
Il sistema previdenziale italiano, attualmente sostenuto da un delicato equilibrio tra età di pensionamento, contributi e calcolo attuariale, potrebbe non essere in grado di sostenere l’impatto economico di una riforma che abbassi l’età pensionabile a 64 anni. Il Centro studi di Unimpresa evidenzia che l’introduzione di questa riforma, senza misure correttive o compensative, potrebbe compromettere seriamente la sostenibilità del sistema. Con l’aumento costante della spesa pensionistica e la contrazione della base contributiva, la riforma rischierebbe di rendere strutturale un aggravio per le finanze pubbliche.
La posizione di Unimpresa
Paolo Longobardi, presidente di Unimpresa, ha sottolineato come ogni scelta di politica previdenziale comporti un costo e una responsabilità, soprattutto in un momento in cui l’Italia ha bisogno di rilanciare gli investimenti, sostenere le imprese e rafforzare l’occupazione giovanile. “Non possiamo permetterci scelte miopi che rischiano di compromettere la sostenibilità finanziaria e penalizzare le nuove generazioni”, ha affermato Longobardi, evidenziando la necessità di indirizzare le risorse pubbliche verso ciò che genera crescita, piuttosto che verso misure che potrebbero mettere a rischio il futuro economico del Paese.
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