L’Italia è tra i Paesi europei in cui si lavora per meno anni, superata in questa particolare classifica solo dalla Romania. Lo rivela uno studio di CNA Area Studi e Ricerche, dal titolo “Demografia, occupazione e previdenza – L’Italia nel contesto europeo”, che accende i riflettori su un paradosso tutto italiano: l’età pensionabile ufficiale è tra le più alte d’Europa, ma la vita lavorativa effettiva è tra le più brevi.
Secondo l’analisi, sebbene sulla carta si vada in pensione a 67 anni, con l’automatismo legato all’aspettativa di vita, nella realtà gli italiani lavorano in media 32,8 anni. All’estremo opposto, Paesi Bassi, Svezia e Danimarca guidano la classifica europea con oltre 42 anni di vita lavorativa, ben al di sopra della media Ue di 37,2 anni. Germania e Francia si attestano rispettivamente a 40 e 37,2 anni, mentre la Spagna appena sotto a 36,5 anni di lavoro.
Manca il ricambio generazionale
Se si considera la composizione dell’occupazione per fasce di età nelle quattro principali economie continentali, emerge che nel 2024 la quota di posti di lavoro occupati da giovani di età compresa tra 15 e 24 anni in Italia toccava appena il 4,7% del totale contro il 10,1% della Germania, il 9,1% della Francia, il 6% della Spagna. Un dato allarmante, che evidenzia le difficoltà del sistema produttivo nel rinnovarsi e preoccupa per la sostenibilità futura delle pensioni. L’assenza del ricambio generazionale infatti mina ulteriormente la tenuta del sistema previdenziale.
Un Paese che invecchia
A complicare il quadro c’è infatti il contesto demografico. Con un’età media di 48,7 anni nel 2024, l’Italia è il Paese più anziano del continente. La natalità è in caduta libera e l’indice di dipendenza mostra un trend chiaro: oggi ci sono 38,4 over 64 ogni 100 lavoratori; nel 2050 il rapporto sarà quasi di uno a uno. Una situazione già oggi insostenibile, con la spesa previdenziale che assorbe il 15,5% del Pil, il livello più alto dell’intera Unione europea.
Età pensionabile, l’altra faccia della medaglia
Se si guarda però all’età legale per andare in pensione, la classifica si ribalta. L’Italia è tra i Paesi Ue più “esigenti”, secondo quanto emerge dall’analisi comparata del servizio Stato Sociale, Politiche
Economiche e Fiscali, Immigrazione della Uil: 67 anni, sia per uomini che per donne. Solo Danimarca, Grecia e Paesi Bassi adottano parametri simili, mentre Francia e Germania prevedono rispettivamente 64 e 65,7 anni. Inoltre, l’età pensionabile in Italia è destinata a salire: entro il 2060 potrebbe toccare i 71 anni, seguendo l’aumento dell’aspettativa di vita.
Il tema pensioni nella prossima Legge di Bilancio
Il tema pensioni sarà centrale nella prossima Legge di Bilancio del governo Meloni. Secondo l’Istat, l’aumento dell’aspettativa di vita farà scattare nel 2027 un incremento automatico dell’età pensionabile a 67 anni e tre mesi, come previsto dalla Legge Fornero. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha però promesso che questo aumento sarà “sterilizzato”, anche con un provvedimento esterno alla manovra, se necessario.
Giorgetti si è fatto portavoce della necessità di sospendere gli automatismi e aprire una riflessione più ampia sul sistema pensionistico italiano, puntando a un equilibrio tra giustizia sociale, sostenibilità economica e tenuta dei conti pubblici.
La proposta Durigon: pensione a 64 anni
Ad animare il dibattito è intervenuto anche il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, che lo scorso 6 agosto ha rilanciato la proposta di una soglia pensionistica unica a 64 anni per tutti, inclusi i lavoratori con carriere miste. L’idea prevede anche il superamento dell’adeguamento automatico alla speranza di vita, affiancato da misure innovative: dall’utilizzo del Tfr per fini previdenziali, a nuove forme di flessibilità in uscita. Una proposta che ha sollevato forti dubbi, perché senza un mercato del lavoro più dinamico, una natalità più viva e un’occupazione giovanile stabile, ogni riforma anticipata rischia di diventare una mina vagante sotto i conti dello Stato.
Una riforma strutturale, non solo anagrafica
I numeri raccontano una doppia verità. La vera sfida non è tanto spostare in avanti l’età del ritiro, ma rendere il sistema più robusto aumentando la base contributiva: più occupazione, inizio di carriera anticipata per i giovani, contratti più stabili e maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro. È forse da qui che passa la vera sostenibilità, ovvero da una occupazione diffusa, piuttosto che da meri aggiustamenti anagrafici.
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