La previdenza complementare torna al centro dell’agenda politica. Governo e Parlamento sembrano muoversi in sintonia con un duplice obiettivo: da un lato, assicurare una pensione più dignitosa a chi lascerà il lavoro con il solo sistema contributivo, dall’altro, convogliare nuovi capitali verso l’economia italiana.
Giovani e fondi pensione: servono rendimenti più alti
Secondo i tecnici del ministero dell’Economia, per attrarre l’adesione dei lavoratori più giovani ai fondi pensione occorre puntare su rendimenti più interessanti. «Occorre migliorare l’adesione dei lavoratori ai fondi pensione e occorre migliorare le modalità di investimento e rendimenti», hanno dichiarato in audizione davanti alla Commissione d’inchiesta parlamentare sul sistema bancario.
L’idea di fondo è che le strategie d’investimento dovrebbero tenere conto dell’età degli aderenti: «Un soggetto molto giovane può investire una componente molto alta in azioni. Il contrario vale per chi invece si avvicina alla pensione».
Superare il “silenzio-assenso”
Anche la commissione bicamerale sugli enti previdenziali ha proposto di rivedere l’attuale meccanismo del “silenzio-assenso” che, in caso di mancata scelta del comparto d’investimento, assegna automaticamente la linea garantita. «Potrebbe risultare opportuno superare il vigente meccanismo di silenzio-assenso in favore delle linee garantite», si legge nell’ultima relazione.
L’idea è di spostare l’adesione automatica su comparti più dinamici, con maggiore esposizione al rischio e quindi più alti rendimenti attesi nelle fasi iniziali dell’adesione, per poi passare a investimenti più cauti con l’avvicinarsi della pensione.
Verso una riforma in manovra
Queste proposte potrebbero trovare spazio già nella prossima legge di Bilancio. Il tema, infatti, aveva già animato le discussioni durante l’ultima manovra, soprattutto intorno alla possibilità di aprire una nuova finestra per destinare automaticamente il Tfr ai fondi pensione.
Attualmente, il meccanismo automatico scatta solo alla prima assunzione. Se il lavoratore non decide entro sei mesi se lasciare il Tfr in azienda o investirlo in un fondo pensione, il denaro va alla previdenza complementare. «Vanno visti positivamente anche meccanismi che rendano più automatica la partecipazione», ha affermato Mario Pepe, presidente della Covip.
Una nuova finestra di sei mesi, accessibile a tutti i lavoratori, permetterebbe di rivedere le scelte fatte in passato, ma impatterebbe anche sull’Inps. Nelle aziende con oltre 50 dipendenti, infatti, il Tfr non investito finisce nel Fondo di Tesoreria dell’ente, che lo utilizza anche per far fronte alla spesa corrente.
Il ruolo del mercato azionario e l’appello a un intervento sistemico
Il prossimo autunno potrebbe vedere un’accelerazione verso una maggiore esposizione azionaria dei fondi pensione. Secondo Marco Ventoruzzo, presidente di Amf Italia, anche il rafforzamento del mercato azionario è un obiettivo in linea con i principi costituzionali. Dello stesso avviso anche il costituzionalista Sabino Cassese: «Se si fosse applicata la Costituzione indirizzando il risparmio verso i grandi complessi produttivi del Paese, avremmo avuto una crescita del Pil e non ci sarebbe stato il problema del debito».
Alle riflessioni si aggiunge anche l’appello del presidente dell’Ania, Giovanni Liverani, che nella sua relazione annuale ha sottolineato: «A trent’anni dalla riforma del sistema pensionistico e a vent’anni dall’introduzione della previdenza integrativa è necessario un intervento sistemico che coinvolga istituzioni, imprese e cittadini, con l’obiettivo di ampliarne le adesioni, rafforzarne l’equità e migliorarne l’efficacia». Liverani ha però messo in guardia dal rischio di eccessiva speculazione: «Attenzione però a non ‘finanziarizzare’ troppo queste soluzioni», ha detto, «perché inevitabilmente, in assenza di una forte regolazione, si rischiano distorsioni». Liverani ha infine ricordato che «siamo entrati nell’era del sistema contributivo puro e il tasso di caduta del tenore di vita tra l’ultimo giorno di lavoro e il primo giorno di pensione è già di circa un terzo per i lavoratori dipendenti, molto di più per gli autonomi, eppure ancora soltanto il 38% dei lavoratori ha aderito a forme di previdenza complementare».
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