Il 67% degli italiani dichiara di essersi sottoposto a una visita dal dentista negli ultimi dodici mesi. Tanti? Forse non abbastanza, anche perché le patologie odontoiatriche sono tra le malattie più comuni nel mondo: colpiscono circa 3,7 miliardi di persone. In particolare la carie dentale non trattata in denti permanenti è la patologia più diffusa. Molti di più avrebbero bisogno di un controllo preventivo o di una cura, ma i costi sono spesso insostenibili e quasi mai le prestazioni sono a carico del Sistema Sanitario Nazionale (Ssn). Tant’è che un italiano su tre sarebbe disposto a farsi curare i denti all’estero. E ogni anno sono almeno 200mila i connazionali che fanno le valigie per andare in Albania, Croazia, Romania, Turchia o altri Paesi per curarsi i denti.
Una piccola grande emergenza. Secondo l’Osservatorio Compass gli italiani spendono in media poco più di 1.200 euro all’anno (ovviamente chi se lo può permettere) per il dentista, quasi tutto di tasca propria. Se caliamo nelle medie consolidate, dobbiamo fare altri conti: la spesa sanitaria privata out-of-pocket complessiva ammonta a oltre 40 miliardi di euro totali, di cui l’odontoiatria rappresenta la voce di spesa familiare più alta, pari a 28,1 euro mensili medi, e qui ci stanno tutti, quelli che spendono e quelli che non possono spendere.
Il Ssn assicura – a parole – assistenza sanitaria odontoiatrica solo ai minori di 14 anni e alle persone che versano in una condizione di vulnerabilità sanitaria o sociale. Quest’ultima definizione porta nella giungla degli Isee e delle certificazioni mediche. Di fatto la spesa pubblica per l’odontoiatria si ferma a 85 milioni di euro all’anno (appena lo 0,2% della spesa sanitaria ambulatoriale pubblica), a fronte di una spesa di 713 milioni (oltre 2 miliardi negli ultimi tre anni) sostenuta attraverso i fondi sanitari, così come ha documentato la ricerca Accesso alle cure odontoiatriche realizzata da Percorsi di Secondo Welfare con il supporto di Welfare4You e Blubonus. Lo studio affronta l’accesso alle cure odontoiatriche in Italia, le criticità legate ai costi e alle disuguaglianze, e il ruolo dell’integrazione tra welfare pubblico, bilaterale e aziendale.
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Dai dati dell’Anagrafe dei fondi sanitari sono poco più di 16 milioni le persone in Italia iscritte a uno dei 324 fondi sanitari integrativi, ma non è possibile quantificare quanti siano effettivamente lavoratori e quanti familiari dei lavoratori. E non è dato sapere nel dettaglio «quali prestazioni sono maggiormente fruite e dunque quali sono i principali bisogni degli iscritti, dato che i fondi non sono tenuti a pubblicare i propri rendiconti», si legge nella ricerca.
Uno dei pregi dell’indagine è di mettere in fila dei numeri certi. I 16,2 milioni di iscritti ai fondi rappresentano la platea potenziale (raggiunta contrattualmente), ma non sappiamo quanti di questi attivino effettivamente la copertura. Ma sul fronte delle cure odontoiatriche il ruolo dei fondi integrativi (soprattutto quelli contrattuali, ma comprendendo anche le casse mutue e simili) diventa di fatto sostitutivo del Ssn.
La scelta del turismo dentale – come si usa definire il complesso dei viaggi all’estero per farsi curare i denti a costi inferiori, fino al 60-70% rispetto all’Italia – è carica di rischi e di incertezze. Le tariffe apparentemente allettanti si pagano quasi sempre in difficoltà di controllo e di cura preventiva e costante. Oltre che di qualità spesso inadeguata e di igiene carente. Ma il problema in Italia è serio. La supplenza dei fondi sanitari è parziale e diseguale: ci sono contratti di lavoro (e quindi fondi contrattuali integrativi) che coprono di più, altri meno. Non c’è solo un differenziale Nord-Sud (il welfare aziendale è più pervasivo nelle regioni settentrionali), ma anche uno merceologico. I lavoratori del settore alimentare, per fare un esempio, godono di coperture odontoiatriche più ricche di quelli dello spettacolo. Quelli dell’agricoltura, peggio di tutti. C’è dell’altro: il fenomeno del cosiddetto non-take-up, cioè il mancato utilizzo di una prestazione a cui si ha diritto. E riguarda sia il pubblico sia il privato integrativo. «Esiste una “povertà informativa“ che colpisce anche chi ha la copertura. Il lavoratore spesso ignora di avere diritto a un rimborso o trova le procedure previste dai fondi troppo complesse, rinunciando al beneficio anche nel sistema privato», dice Marco Mantelli, ceo e co-founder di Blubonus. Paolo Barbieri, ceo e founder di Welfare4You, aggiunge: «L’odontoiatria è un ambito ad alta intensità fiduciaria. Molti assistiti rinunciano al vantaggio economico della struttura convenzionata perché preferiscono il proprio dentista di fiducia. Come ci ha detto un intervistato: “Una famiglia magari rinuncia a un vestito, ma l’apparecchio per i denti lo fa mettere dal dentista di fiducia“, accettando di pagare di più».
Anche l’eterogeneità delle coperture assicurate dai fondi (chi non ammette l’implantologia, chi non estende le prestazioni a tutti i familiari) creano un po’ di disorientamento: mentre il 54% dei fondi estende le coperture ai figli dei dipendenti, solo 1 fondo sui 44 analizzati prevede esplicitamente l’estensione ai genitori anziani. Gli over 65 si trovano in una terra di mezzo, esclusi dalle tutele pubbliche odontoiatriche (riservate agli under 14 o agli indigenti) e spesso espulsi dai fondi sanitari legati al contratto di lavoro attivo: i pensionati perdono quasi sempre ogni copertura integrativa. Il risultato è che il 19,6% rinuncia o ritarda le cure. Forse proprio quando ne servirebbero di più.
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