In Italia, le donne con accesso al private banking – ovvero il segmento che gestisce le grandi ricchezze – sono una netta minoranza. A fronte di patrimoni totali serviti, solo il 10% fa capo a donne. Una percentuale che si traduce in una presenza reale dello 0,3% della popolazione femminile adulta.
Un dato che fotografa una disuguaglianza marcata. “Se partiamo dal presupposto che la metà del Paese è donna, è evidente che marginalizzarla dal lavoro, dai processi decisionali e dalle sedi del potere sia controproducente e dannoso per tutti”, afferma Antonella Massari, Segretario Generale dell’Aipb. “Il cielo non si può dividere”, aggiunge, con un monito che invita alla riflessione.
Un terzo della ricchezza gestita è donna
Nonostante la presenza ridotta in termini numerici, il peso economico delle donne nel private banking è significativo. Le stime indicano che circa 300 miliardi di euro, ovvero il 10% della ricchezza finanziaria privata nazionale, fa capo a donne. Una percentuale che sale al 35% se si guarda solo al portafoglio dei patrimoni serviti dal private banking.
Numeri che sorprendono chi ancora ritiene che la gestione finanziaria familiare sia dominio esclusivo degli uomini. Di fatto, le donne investitrici superano per incidenza persino il segmento degli imprenditori, che pesa per il 20% sul totale dei patrimoni gestiti.
Donne investitrici: poche, ma decisive
Secondo lo studio Aipb/Ipsos commissionato da Candriam, in Italia si contano circa 60.000 donne con un profilo patrimoniale rilevante (oltre 250 mila euro di disponibilità). Rappresentano appena lo 0,2% della popolazione femminile adulta, ma sono un gruppo in crescita e di grande rilevanza. Parliamo di donne con elevato standing professionale, interessate alla gestione del denaro (82%) e consapevoli delle proprie competenze finanziarie (75%). Molto più delle donne investitrici generiche (30%) o delle donne occupate (32%). Non solo: queste investitrici mostrano un approccio maturo e orientato al lungo termine, puntando su rendimenti e sicurezza senza farsi intimorire dalla complessità dei mercati.
Un potenziale da coltivare
L’analisi lancia un messaggio chiaro: in un momento in cui il risparmio privato può essere un volano per lo sviluppo economico, il contributo femminile è ancora largamente sottovalutato. Serve un cambio di passo. “Come industria, abbiamo il dovere di conoscere e servire meglio la clientela femminile”, sottolinea Massari. Un approccio che altri settori, come la moda e la grande distribuzione, hanno già saputo adottare con successo.
La strada è una sola: ridurre il divario di genere, aumentare l’occupazione femminile e creare percorsi di empowerment economico. Solo così sarà possibile ampliare la base di queste investitrici “rare come panda” e trasformarle in protagoniste della crescita del Paese. Perché, dare anche alle donne l’opportunità di investire è un vantaggio per tutti.
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