Flavio Briatore è l’inventore della spiaggia di lusso. Ha 75 anni, è stato pioniere in tanti rami del business. Ha viaggiato mezzo mondo, ha vinto campionati mondiali di automobilismo, e ha legato il suo nome a una parola: successo. E’ lui che vent’anni fa ha pensato che costruire un castello sulla sabbia, sfidando il senso comune e i proverbi, potesse diventare un grande affare. E il castello lo ha realizzato davvero, vicino a un Forte, Forte dei Marmi, che è la prima spiaggia di villeggiatura della borghesia italiana del novecento. Questo castello lo ha chiamato Twiga. Ora sembra che la sua intuizione stia facendo scuola. Anche i grandi marchi come Dior, Prada e Dolce & Gabbana provano a copiarlo investendo sulle spiagge.
Briatore, come le è venuta l’idea di investire sulla spiaggia?
«Io credo che vent’anni fa, quando ho iniziato con il Twiga, l’idea fosse rivoluzionaria. Vedevo questi stabilimenti balneari e pensavo che fossero una cosa misera. Andavano riformati».
Cos’era uno stabilimento balneare?
«Era un posto dove ti portavi i tuoi asciugamani, la borraccia, magari un termos col caffé, trovavi una sdraio, un ombrellone un po’ sbiadito perché era già alla seconda se non alla terza stagione, forse un chiosco. E poi c’era alle volte un bagnino con la canottiera rossa che ogni dieci minuti ti mandava a quel paese…»
Non andava bene.
«No. Era poco. Il servizio non esisteva, non esistevano le comodità. Io ho pensato: ma se uno va al mare vuole stare bene. Se ha la possibilità di avere un servizio, di mangiare cose buone, di stare comodo, di passare la giornata sereno, magari anche la sera, insomma ho pensato: secondo me funziona».
E ha funzionato?
«Beh, direi di sì».
Lo chiamano Il briatorismo…
«Eh, si… Dai, qualcosa io me lo sono inventata, no?»
Davvero a lei l’idea è venuta guardando le spiagge?
«Ma si, sei in vacanza, sei al riposo, hai bisogno di essere coccolato».
La gente andava al mare e stava male.
«Così mi è sembrato. E ho pensato: eliminiamo tutti i disagi».
Lei si sente un po’ pioniere?
«Sì. Debbo dire che quelli che poi mi hanno imitato non è che sono sempre riusciti. Per fare queste cose ci vuole continuità. A molti mancava».
Quale è la chiave del successo?
«Noi abbiamo pensato che lo stabilimento fosse il proseguimento del ristorante. Il ristorante che si estendeva fino alla battigia. Senza soluzione di continuità».
Ma lo stabilimento “briatoriano” è un investimento sicuro o si deve indovinare la spiaggia giusta?
«Certo, la spiaggia deve esser bella. In Italia non mancano le spiagge belle. Ma per esempio a Forte dei Marmi le spiagge sono tutte uguali. Il mare è quello. La differenza la fanno il servizio, la qualità del personale, la qualità del cibo».
Oggi secondo lei è meglio investire sulla spiaggia che sul mattone? Se i grandi marchi, come Dior, come Prada, come D&G si spostano sul balneare vuole dire che ci sono aspettative.
«Loro entrano nelle spiagge perché nelle spiagge dove c’è un grande stabilimento c’è gente importante e ricca. Cioè un ceto che può comprare Dior, può comprare Prada, Gucci, Dolce & Gabbana… Usano le spiagge come mercato, le sponsorizzano. Ma non sanno fare il loro stabilimento, devono appoggiarsi a stabilimenti esistenti. In pratica sponsorizzano».
Anche Dolce e Gabbana ha sponsorizzato il Twiga?
«Esatto. Ormai tutti i marchi cercano di avere una spiaggia».
Lei ha avuto difficoltà burocratiche a mettere in piedi il Twiga?
«No. Non ne ho avute».
Quindi tutti potrebbero investire sul balneare?
«Quando parliamo di bagni, di Twiga ce n’è uno solo. Molto difficile da replicare. Tanti hanno provato a replicarlo ma ci sono riusciti molto pochi. Molti hanno investito sulle spiagge ma molti poi hanno chiuso i battenti».
Qual è l’elemento che manca e che il Twiga garantisce?
«Il Twiga è nato già su un progetto definito e rivoluzionario. Nell’immaginario, il Twiga diventava casa tua. E’ questa la novità, è questa la sua anima».
Beh, poi ci sono tanti stabilimenti a gestione familiare.
«E’ giusto che ci sia il Twiga ed è giusto che poi ci siano stabilimenti meno pretenziosi gestiti da famiglie. Gente che sa il suo mestiere. Il mercato è ricco, è variegato, funziona per questo».
Investire sul mercato interno oggi è più sicuro?
«Se hai un business che funziona, puoi pagare le tasse, puoi pagare il personale, allora la cosa viene bene. Anche in Italia puoi fare molto bene».
Quali problemi col personale?
«Devi coinvolgerli. Vedi, io non dico: “i miei camerieri”. Non sono camerieri, sono collaboratori. La maggior parte dei nostri ragazzi hanno un telefono in tasca e chi vuole prenotare una tenda chiama direttamente il ragazzo in spiaggia e se la fa preparare…».
Quanto è cambiato questo mondo?
«E’ cambiato il mondo della ristorazione, Chi non se ne accorge è fuori mercato. Il personale lo devi far collaborare, lavorare, lo devi pagare il giusto, e poi i tuoi dipendenti sanno che se il servizio va bene, è efficiente, soddisfa il cliente, le mance aumentano esponenzialmente».
Sono importanti le mance?
«Le mance devono essere almeno una volta e mezza il salario. Sennò vuol dire che la cosa non sta funzionando».
Briatore, ora lei ha lanciato la pizza. Arriveranno i grandi marchi anche sulla pizza?
«Per ora ci siamo noi. C’è il Crazy Pizza. Abbiamo 29 locali, siamo a Saint Tropez, a Ibiza a Porto Cervo. E’ un altro formato, un altra idea, rispetto alla tradizionale pizzeria. Invece di stare in un locale che appena entri vuoi mangiare e andare via, se vieni da noi ci rimani. Intrattenimento, musica, decorazione, camerieri importanti. Sempre lì siamo: il lusso. Sulla sabbia e sulla pizza. Le mie pizzerie fatturano come grandi ristoranti».
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