Finalmente conosciamo il costo delle intercettazioni praticate dalla Procura di Milano: 8,5 milioni di euro. Nemmeno tanto se consideriamo quanto viene speso per perizie, custodia dei beni sequestrati e quella conquista della nostra democrazia che è ormai un business consolidato per legioni di avvocati, ovvero il gratuito patrocinio. Qui siamo a quota 31,3 milioni, più spiccioli.
La giustizia costa cara e quella milanese, che abita nel celebre Palazzo di Porta Vittoria, conferma la regola: la cittadella giudiziaria ha assorbito nel 2024 risorse per quasi 166 milioni di euro. L’inchiesta di Moneta, nata in collaborazione con quasi tutti gli uffici giudiziari di rito ambrosiano – tribunale, corte d’appello, procura e procura generale – più ministero della Giustizia e Equitalia Giustizia – scava dentro i costi e i ricavi del mondo delle toghe. E misura un lato inedito dell’amministrazione che finora non era mai emerso.
In breve: quanto costa e quanto rende il Palazzo di giustizia costruito negli anni Trenta dall’archistar Marcello Piacentini? Conosciamo l’obiezione: la giustizia non si pesa con i parametri con cui si valuta un’azienda. Vero. Sacrosanto. Indiscutibile. Ma certo è altrettanto necessario accendere un faro, come mai si era tentato finora, su una realtà disegnata in un tempo lontano, con strutture e mentalità antiquate che oggi non sono più sostenibili. È corretto dunque valutare i flussi finanziari in entrata e in uscita, per capire meglio, razionalizzare e correggere dove ci siano lacune o ritardi.
Partendo dal concetto che l’attività caratteristica del tribunale nel suo insieme costa 160 milioni e 740 mila euro e produce ricavi per 78 milioni e 805 mila euro, la gestione chiude dunque in rosso. Ma non è certo questo a preoccupare. E poi, attenzione, la Procura negli ultimi tempi si è trasformata in una calamita finanziaria dalle dimensioni incredibili: big come Airbnb, Kering, Esselunga, Amazon alle prese con contestazioni tributarie, hanno messo sul piatto centinaia di milioni per chiudere il contenzioso col fisco. In sostanza, nel giro di pochi anni lo Stato ha ricevuto cash, senza attendere sentenze lontane nel tempo, la strabiliante cifra di circa 5 miliardi.
Semmai ci si deve interrogare su una questione di fondo: i soldi sono impiegati correttamente?
La risposta è un sì con alcune riserve: nel tempo ci sono stati importanti miglioramenti, anche se i centri di spesa sono molteplici e la divisione dei ruoli è ancora cervellotica, o meglio frammentata; ciascuno dei quattro uffici amministra per conto suo le cosiddette spese di giustizia, dalle perizie alle intercettazioni, e poi dal parcheggio dei beni sequestrati al gratuito patrocinio. Ma non è così per il funzionamento del Palazzo: qui provvede la corte d’appello che pensa a luce, acqua e tutto il resto. Ma la procura generale deve occuparsi del servizio di vigilanza. Divisioni non sempre lineari. E poi ci sono gli stipendi del personale amministrativo e delle toghe. Cifre elevatissime.
Tra costi e occupazione
A Milano lavorano 455 magistrati togati, (lasciamo fuori dalla nostra analisi il tribunale per i minori che è localizzato altrove e la magistratura onoraria) 1.424 sono i cancellieri e gli impiegati, di cui 899 a tempo indeterminato. Gli altri 525, precari, ricevono i fondi del Pnrr, pari a 18 milioni e 226mila euro, per ammodernare il comparto. Ma, salvo colpi di scena, scadranno presto. Il totale supera i 46 milioni. I magistrati sono molti meno ma costano qualcosa in più: 49 milioni. Nessuno mette in discussione l’efficienza del rito ambrosiano che colloca, parametri alla mano, la città ai livelli del più virtuoso Nord Europa. Nel 2024 sono stati definiti 225.584 procedimenti e l’arretrato è sotto controllo. Anzi, siamo vicini al pareggio dei fascicoli, perché quelli pervenuti nello stesso anno ( con l’eccezione della procura generale i cui dati non sono disponibili) sono 249mila circa.
Più complesso è ragionare sui numeri che compongono le spese. La macchina costa quasi cento milioni solo per il lavoro dei giudici e dei cancellieri, poi c’è la vita del palazzo, che vuole dire luce, acqua, riscaldamento e via elencando; infine le spese cosiddette di giustizia: appunto intercettazioni, che valgono appunto 8 milioni e 552mila euro, e poi custodia dei beni, gratuito patrocinio, perizie per circa 31 milioni, più altre piccole voci per un totale di oltre 41 milioni. E qui la questione si complica: lo Stato anticipa, poi si rivale in caso di condanna. Insomma, per essere chiari, se sei assolto tutto quello che lo Stato ha speso per indagare su di te e dimostrare, senza riuscirci, la tua colpevolezza, resta a carico del contribuente.
Se invece arriva una pena, allora gli uffici giudiziari battono cassa. Con risultati assai modesti. E allora interviene Equitalia Giustizia che cerca di recuperare tutto quello che può.
Alla fine nel 2024 sono rientrati 15 milioni e 999mila euro che vanno confrontati, sia pure indirettamente, con quei 41 milioni delle spese di giustizia ( in realtà si riprendono le spese di anni precedenti).
Ma tanti condannati non pagano e resistono anche all’azione di Equitalia Giustizia così come molti non mettono mano al portafoglio e non versano quanto chiesto attraverso le condanne pecuniarie.
La giustizia però ha altre voci al suo attivo: il Contributo unificato, un obolo all’inizio del procedimento civile, e l’imposta sul registro che tintinna alla fine. Il primo vale più di 27 milioni e altri 23 ne porta in dote il registro.
Attenzione, il gettito del contributo unificato è destinato a salire rapidamente, perché con la legge di bilancio del 2025 si è stabilito un importante cambiamento: il versamento è diventato obbligatorio, senza quell’incipit la causa non può decollare. Resta naturalmente l’aiuto per i non abbienti che non possono permettersi l’avvocato, ma dovrebbe scomparire o ridursi la tendenza a saltare il pedaggio di ingresso. I «furbetti» del contributo dovrebbero rimanere bloccati al casello di partenza. C’è poi un’altra entrata, sottostimata perché è difficile raccapezzarsi fra le singole sezioni del tribunale, ed è quella relativa alla confische: il solo incasso della corte d’appello è superiore agli 11 milioni e con il tribunale si sfiora quota 12. Naturalmente le confische sono il frutto di sequestri avvenuti molti anni prima e confermati nei diversi gradi di giudizio.
Ancora una volta i tempi della giustizia non sono e non possono essere esaminati come quelli di un’azienda. Ma la tendenza è quella che va verso la razionalizzazione dei flussi, nel tentativo di non dissipare risorse preziose.
In totale la macchina costa 165 milioni e ne incassa circa 78. Con un rosso di 87 milioni. Una porzione, quelle delle spese di giustizia, potrebbe forse essere ripensata ma almeno in parte i costi sono fisiologici. C’è poi il capitolo relativo all’andamento del Palazzo su cui è difficile esprimere giudizi. Naturalmente, nel grande calderone ci sono anche altre voci: la corte d’appello ha ordinato il pagamento di quasi 4 milioni e mezzo per indennizzare i cittadini che hanno ottenuto giustizia in tempi troppo lunghi e dunque hanno chiesto un ristoro allo Stato sulla base della norma. La Pinto prevede anche, come tutte le leggi, una copertura finanziaria e dunque esiste un fondo cui attingere.
Il modello Milano
Resta fuori dalle tabelle il cosiddetto modello Milano, nato con Francesco Greco e proseguito negli ultimi anni sotto la guida dell’attuale procuratore della repubblica, Marcello Viola. La Procura ha messo a punto un sistema per contrastare i più gravi illeciti di natura penale tributaria. L’idea non è quella tradizionale di procedere ai sequestri e attendere poi le conclusioni dei processi, a distanza di molto tempo. No, l’azione procede a tenaglia: i pm si muovono in sincronia con la Guardia di finanza e con l’Agenzia delle entrate e spesso il soggetto sotto osservazione, per sfuggire ai riflettori e a un possibile danno reputazionale, raggiunge un accordo con la procura e stacca un robusto assegno. Una cifra che non entrerà nei grafici e nelle tabelle del Palazzo, ma torna allo Stato. Per una ragione o per l’altra sono venuti a Canossa colossi della logistica, campioni del lusso, giganti della grande distribuzione. In tre anni esatti la Procura di Viola, in carica dalla primavera del 2022, ha portato a casa la cifra monstre di 3 miliardi. Ma da quando è partito l’esperimento con Greco i soldi incassati sono addirittura 5 miliardi.
Cinque miliardi restituiti al contribuente. E la procura, quasi in veste di agenzia del lavoro, ha regolarizzato 49.800 persone che prima erano precarie, con benefiche ricadute sociali degne di un grande sindacato. Cifre da multinazionale sulla bilancia della giustizia.
(1. continua)
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