Sono passati quasi 5 anni da quando, il 10 agosto 2020, in piena pandemia, Microstrategy ha acquistato i suoi primi bitcoin dando inizio alla trasformazione da società di software in perdita al più grande detentore di bitcoin al mondo. Una trasformazione fortemente voluta dal ’crypto evangelist’ Michael Saylor e che ha portato il valore della società – adesso rinominata Strategy e che capitalizza oltre 100 miliardi di dollari – a lievitare di oltre 3mila volte. «Vendi un dente se proprio devi, ma tieniti i bitcoin», è una delle più celebri frasi postate da Saylor, che recentemente ha reiterato quella che è la via maestra che intende portare avanti: acquistare e detenere Bitcoin a tempo indeterminato. Strategy attualmente possiede oltre 592 mila bitcoin, pari al 3% dell’offerta totale della valuta digitale, per un valore complessivo di 63 miliardi rispetto ai quasi 42 miliardi spesi per accumulare tutti questi token.
Negli ultimi due anni il valore di Strategy si è decuplicato, facendo ampiamente meglio di Wall Street e dello stesso bitcoin a cui è legata a doppio filo. Questa è un’arma a doppio taglio in quanto la volatilità della criptovaluta può generare movimenti bruschi che impattano sul bilancio aziendale. «Strategy si sta assumendo dei rischi molto elevati sperando soprattutto nella sua strategia di copertura in quanto ora l’azienda detiene Bitcoin a un prezzo medio di carico sopra i 66mila dollari – avverte David Pascucci, analista dei mercati per Xtb – quindi per adesso può far affidamento su una buona gestione del rischio della posizione complessiva, con la possibilità di coprirsi da eventuali consistenti drawdown», ossia le oscillazioni negative di lungo termine. Ad oggi il titolo Strategy presenta una volatilità a 30 giorni del 47%, decisamente più alta di quella dello stesso bitcoin (21%). Un altro elemento da considerare è che tra bitcoin e titoli come Strategy non c’è una vera e propria correlazione diretta, se non quella relativa al comparto di rischio del mercato. «Bitcoin è un asset rischioso così come lo è il mercato azionario – ricorda Pascucci – nel caso in cui questi due mercati dovessero salire parleremmo di scenario “risk on”, ossia a favore di rischio. Ne consegue che un uno scenario “risk on” salgono tutti gli asset rischiosi, quindi contemporaneamente (almeno a livello teorico) Strategy, gli indici azionari e Bitcoin. Nel momento in cui Bitcoin, oppure gli indici azionari, dovessero iniziare a ritracciare in modo consistente, allora potremmo vedere un ribasso generalizzato; quindi, uno scenario “risk off” potrebbe favorire lo scoppio di un’eventuale bolla».
L’ obiettivo di Strategy di arrivare a detenere il 5% dei bitcoin emessi è ritenuto da alcuni un elemento di preoccupazione in quanto l’accumulo di una quantità eccessiva di offerta da parte di singoli veicoli rischia di minare le proprietà del bitcoin rendendolo inappropriato per le banche centrali come asset di riserva di valore.
Il modello strategy fa scuola
Oggi sono molte le imprese, circa 80 considerando solo quelle quotate, che stanno seguendo il modello Strategy, adottando quello che viene definito lo standard bitcoin. Le società che hanno adottato il cosiddetto standard bitcoin, detengono collettivamente il 3,4% dell’offerta totale di bitcoin. Bernstein Research stima che la domanda da parte delle aziende potrebbe toccare 330 miliardi di dollari in bitcoin entro il 2029, di cui circa un terzo (124 miliardi) provenienti da Strategy.
Tra i casi più emblematici di accumulatrici di bitcoin spicca quello di MetaPlanet, una piccola società nipponica attiva nel settore alberghiero con riserve liquide elevate ma scarsa crescita organica, che si è posta l’obiettivo di possedere entro il 2027 l’1% del totale dei Bitcoin in circolazione, raccogliendo fondi attraverso un’emissione di azioni da 5,4 miliardi. La politica di acquisto bitcoin ha significativamente fatto triplicare il valore delle sue azioni in 12 mesi.
Non tutti sono convinti che il rally di Metaplanet durerà. Un campanello d’allarme sono le posizioni corte sul titolo, cresciute fino a circa il 23% del suo flottante, risultando la società quotata a Tokyo con più posizioni ribassiste aperte secondo i dati di S&P Global.
I dubbi degli investitori
La reazione degli investitori davanti a svolte aziendali pro-bitcoin non è sempre entusiasta. Tra le ultime a mettersi in fila per riempire le proprie casse di Bitcoin c’è Trump Media & Technology Group che ha annunciato un piano per raccogliere ben 2,5 miliardi di dollari volti a creare una riserva di bitcoin (oltre a voler lanciare anche un suo Etf Bitcoin) e il mercato ha accolto la notizia affossando il titolo del 10%.
Debacle anche per GameStop subito dopo l’acquisto di bitcoin per 500 milioni di dollari; gli investitori che hanno letto la mossa fortemente voluta dal ceo Ryan Cohen come un ulteriore elemento di incertezza sul lungo periodo per un’azienda che vede il proprio core business (vendita di videogiochi) mostrare da tempo segni di affanno. In generale, se invece di usare i bitcoin come un modo aggiuntivo di investire la liquidità li si fa diventare l’asset da cui dipendono le sorti dell’azienda, la volatilità di questo asset si tramuta in un elemento di rischiosità per le realtà più piccole. L’elevata volatilità dell’asset messo a bilancio significa che le aziende più piccole rischiano tanto, fino al fallimento nel caso in cui il valore della criptovaluta crolli repentinamente.
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