L’Italia ha messo in campo una nuova «diplomazia contadina» fondata su un innovativo modello di cooperazione agricola per dare opportunità di sviluppo ai Paesi più poveri, valorizzare le realtà locali e assicurare lavoro e cibo alle popolazioni. Oltre il 70% delle «vittime» della fame nel mondo sono infatti agricoltori, soprattutto piccoli produttori nel Sud del mondo, minacciati dalla distorsione nei sistemi di produzione e distribuzione degli alimenti che provoca la fuga dalle campagne verso i Paesi più ricchi dove spesso li attendono la sofferenza e l’emarginazione.
E parte proprio dalle campagne l’iniziativa tutta italiana della Mediterranean and African Markets Initiative (MAMI-Farmers Markets), finanziata dal ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale italiana e realizzata da Ciheam Bari, in collaborazione con la World Farmers Markets Coalition e la Fondazione Campagna Amica, che conta su circa 1200 mercati contadini diffusi su tutto il territorio nazionale dove sono impegnate 10mila aziende agricole che offrono le produzioni locali a circa 15 milioni di consumatori ogni anno.
L’obiettivo è riprodurre questo modello con la creazione di una rete di mercati in tutto il Mediterraneo e in Africa, per rafforzare i legami tra agricoltori e cittadini, con un impatto significativo sulle comunità locali e sui redditi dei produttori. L’esperienza dei mercati contadini si propone oggi come una opportunità a livello mondiale per aiutare le economie dei Paesi più poveri, a sviluppare filiere alimentari ‘dal basso’ per difendere la democraticità del cibo e garantire un reddito equo. Un ruolo da protagonista è svolto dalla World Farmers Markets Coalition, un’organizzazione non-profit che fa parte dei dieci progetti selezionati nell’ambito del Programma Food Coalition della Food and Agriculture Organization (Fao).
Nata quattro anni fa su iniziativa di Campagna Amica della Coldiretti, con la partecipazione di sette associazioni sparse nei vari continenti, è arrivata a coinvolgere oltre settanta realtà rappresentative di 60 paesi, 20mila mercati, 200mila famiglie agricole e oltre 300 milioni di consumatori.
Un ponte economico e di pace
«L’apertura di Farmers Markets anche nei territori più difficili segna l’inizio di un percorso ambizioso che vuole dare dignità agli agricoltori, valorizzando le produzioni locali e promuovendo stili di vita più sostenibili», afferma Carmelo Troccoli, direttore della Fondazione Campagna Amica e della World Farmers Markets Coalition.
L’ultimo mercato è stato inaugurato alla fine di aprile a Tripoli, in Libano, con oltre 30 agricoltori locali che offrono prodotti freschi e di qualità: frutta, verdura, pane, specialità gastronomiche, miele, carni, tè, cereali, pasta, fiori e manufatti artigianali. L’obiettivo non è solo economico ma anche quello di gettare un ponte di pace: creare uno spazio dove persone, culture e storie si intrecciano nel segno della solidarietà e della speranza. Un mercato non è infatti solo un luogo di acquisto e di vendita, ma anche un’occasione di incontro, dialogo, scambio e comunità in un momento così complesso dal punto di vista geopolitico. Si tratta di un’esperienza che fa seguito con successo a quelle degli ultimi mesi ad Alessandria d’Egitto e a Nairobi in Kenya, con una nuova tappa prevista presto a Tunisi.
Ma l’impegno italiano per valorizzare le grandi potenzialità agricole dei Paesi meno sviluppati riguarda anche la fase produttiva con il progetto del Gruppo BF, nato intorno a Bonifiche Ferraresi Spa Società Agricola che, con i suoi 7.750 ettari, è la più grande azienda agricola italiana per superficie utilizzata.
Consolidato il ruolo di infrastruttura di eccellenza in Italia, il Gruppo BF ha avviato un percorso di internazionalizzazione per la promozione di un modello di filiera di qualità replicabile, tracciabile con la formazione del capitale umano.
L’obiettivo è la creazione di posti di lavoro, la fornitura di beni e servizi, lo sviluppo delle agroenergie da fonte rinnovabile e la trasmissione di conoscenza e di tecnologia per sviluppare le produzioni destinate al mercato locale, potenziando il partenariato dall’Algeria al Ghana, dal Senegal al Congo e in altri Paesi del continente africano. «L’iniziativa in Africa incarna la nostra visione di un’agricoltura innovativa, inclusiva e sostenibile per replicare l’esperienza di successo del Gruppo BF su scala globale, attraverso una logica di collaborazione e partenariato, ben distante da approcci predatori che ci sono del tutto estranei per cultura, strategie e prassi», ha affermato Federico Vecchioni, amministratore delegato di BF Spa (in foto).
Un cambio di paradigma dunque, rispetto al modello neocoloniale praticato da altri Stati che muove dalla considerazione che l’insicurezza alimentare e i conflitti ad essa legati sono causati oggi dagli squilibri nella distribuzione delle risorse. L’ultimo protocollo d’intesa sull’attuazione di progetti di agricoltura sostenibile e moderna è stato siglato in Ghana a metà aprile presso la residenza dell’ambasciatore d’Italia ad Accra, dal ministro dell’Alimentazione e dell’Agricoltura della Repubblica del Ghana, Eric Opoku, dall’amministratore delegato di BF International Best Fields Best Food Limited, Federico Vecchioni, e dal presidente di BF Ghana Ltd, Georges Mikhael.
Il protocollo punta a rafforzare gli ecosistemi agroalimentari in Ghana in partnership con il settore privato italiano, istituendo un partenariato pubblico-privato paritario nell’ambito del Piano Mattei per l’Africa. L’intesa è cofinanziata dal ministero degli Esteri, con BF International Best Fields Best Food Limited che rappresenta il partner del settore privato, mentre Ciheam Bari funge da partner della conoscenza e agenzia esecutrice della componente pubblica. Questa iniziativa segue la firma di un memorandum of understanding con la municipalità di Kaour, con l’obiettivo di sviluppare un innovativo progetto agricolo sostenibile in Senegal che rende operativo l’accordo strategico con il Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e dell’Allevamento della Repubblica del Senegal, Mabouba Diagne, siglato lo scorso 17 gennaio.
Anche nel Senegal il cuore dell’iniziativa sarà una «model farm» innovativa, destinata a diventare centro di «migliori pratiche agricole». Il progetto, che coinvolgerà direttamente le comunità locali attraverso formazione e sviluppo di competenze, sarà gestito da BFI Senegal Suarl, nuova società in joint venture con soggetti locali. Le autorità senegalesi concederanno in uso pluriennale 10mila ettari nel sud del Paese «nel rispetto delle normative locali», con un approccio definito «sostenibile e non predatorio» finalizzato a garantire che la proprietà fondiaria e la produzione agricola restino in mano locale, rafforzando così la «sovranità alimentare».
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