Da qualche anno è tornata ad avvilupparci l’avambraccio, tipo hostess della Pan Am . Guai a portarla a spasso diversamente, out appendersela a tracolla, improbabile impugnarla con fermezza. Ormai la portano come Grace Kelly perfino le sgallettate che l’abbinano, illegalmente, a certi moon boot inspiegabilmente “quattro stagioni”, incuranti del fatto che dentro a quella della principessa di Monaco ci stavano, a dir tanto, un portacipria d’argento, un rossetto dal tono pallido e un foulard di seta. Mentre nelle loro si ammassano l’iPhone, l’iPad, svariati pacchetti di gomme da masticare, dei portafogli ipertrofici, giganteschi mazzi di chiavi, l’occorrente per truccarsi da grandi, il cambio per dormire dall’amica, l’agenda gonfia come un soufflè, la chiave unica della macchina ma annegata in decine di ciondoli di varia foggia… Per una maxi bag siamo tutte disposte alla scogliosi. Tolte le icone glamour di Sex and the city, o le altrettanto irreali star sul red carpet degli Oscar, a noi, a qualsiasi donna, la borsa piace a “utero”. Un grande, tiepido contenitore di tutte le nostre certezze. L’ultima volta che abbiamo guardato dentro alla nostra, ci abbiamo trovato la carta d’imbarco di un volo fatto mesi fa, le fotocopie della lezione di latino di nostro figlio, un biglietto da visita a cui è stato confidenzialmente aggiunto a penna un numero di cellulare senza che oggi sia per noi possibile ricondurlo a un volto, a un momento, a una circostanza.
E ancora: l’appunto urgentissimo preso ormai settimane fa e al quale non abbiamo dato alcun seguito, le chiavi della casa in campagna, troppi rossetti rispetto all’unico che alla fine abbiamo il coraggio di usare, un fard camuffa stanchezza, il caricabatterie e un arsenale di Oki Task. E dire che avevamo “travasato” tutto solo ieri, da quella nera a quella color tortora, attente a liberarci dei ricordi di troppo, dei feticci inutili, della “spazzatura” con cui la vita ti ingombra le cerniere interne. Eccolo qui, sempre, tutto quello che non ci dovrebbe essere ad appesantire ciò che assolutamente non può mancare. Dio non voglia che il fuori sappia del dentro. Tanto è rappresentativo l’involucro, tanto è imbarazzante il contenuto. La borsa è il nostro biglietto da visita ma è anche casa nostra, e come tale è il soggiorno ma anche la camera da letto, l’ingresso ma anche la cabina armadio. Assieme alle scarpe migliora il tutto, corregge il tutto, solleva il tutto. Ma la borsa, a differenza dei mocassini o delle decolletè, ha anche un ripieno. Che è poi il nostro ripieno.
La borsa è l’unica cosa sulla quale non siamo pigre (la cambiamo quasi ogni giorno a dispetto dei piccoli ma faticosissimi “traslochi” che questo comporta), una delle (tante) sulle quali non siamo tirchie (per lei siamo disposte a svenarci sentendoci appagate e deliziosamente irresponsabili), una delle poche sulle quali siamo stoiche (non saremmo mai disposte a trasportare qualcosa che pesi quanto lei, eccezion fatta per un brillante altrettanto ingombrante). Le star americane paparazzate senza trucco fuori dal supermercato, vestite in qualche modo, con i capelli in disordine sotto ai berretti e la faccia coperta da giganteschi occhiali da sole, è di un unico trofeo che si fanno forti: della borsa milionaria. L’unico particolare che non crolla nel traballante equilibrio di qualsiasi signora. Almeno finché non la si apre… Quindi micro, macro, nuove di pacca, sfondate, finte, originali, sbagliate, perfette: purché issate con nonchalance su quella mezza luna di pelle morbida tra braccio e avambraccio. Con dentro ciò che ognuno è: l’agenda, il rossetto, le chiavi, il biberon, il cambio per una notte non prevista, il tupperware con le polpette della nonna, i preservativi, le scarpe da ginnastica o i trucchi da centro commerciale riposti nel sacchettino di plastica da surgelati, vicino al profumo da poco. Tutte orgogliose di nascondere dentro qualcosa che ci somiglia ma non si può far vedere. Tutte col trofeo dondolante a metà arto superiore. Perché la borsa, e solo lei, è tutta un’altra cosa. È il nostro passaporto, la nostra cravatta, il nostro potere, il nostro salva giornata. Le occhiaie, ma una borsa importante. L’uomo sbagliato ma la borsa giusta. E allora tocca darle la scena: farla penzolare davanti al corpo, farla arrivare prima di noi là dove vogliamo arrivare. Prima lei e noi a seguire. Tanto è lei a parlare per noi: gonfia e straripante, smilza e informe, poco utero e molto tasca vuota. Per quelle che non hanno nulla da dire, per quelle che hanno tutto da dire e nessun coraggio di farlo. La borsa ci copre e ci scopre, ci racconta e ci nasconde, ci aiuta e ci affossa. Dondolando sul nostro avambraccio esausto di affaticate donne ormai poco femmine. E la borsa, e la vita.
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