Per i collezionisti di arte contemporanea, il mese di giugno fa rima con Svizzera. Come ogni anno, la prossima settimana apre i battenti Art Basel, la grande multinazionale delle fiere d’arte specializzata nelle opere del XX e XXI secolo che ha la sua sede-madre a Basilea, ma che ha aperto kermesse in tutto il mondo: da Miami, a Hong Kong, a Parigi. Appena preceduta da un “Art Weekend” nella vicina Zurigo, la “Messe” di Basilea da giovedì a domenica ospiterà 289 gallerie internazionali tra cui le big mondiali del contemporaneo, come le newyorkesi Acquavella, Paula Cooper, Jeffrey Deicht, Gagosian, Marian Goodman.
Il periodo, va detto, non è dei migliori, e anche il direttore Vincenzo De Bellis lo ammette: «Abbiamo assistito a un continuo rallentamento del segmento alto del mercato, dovuto a incertezze geopolitiche e al cambiamento dei comportamenti dei collezionisti – dice a Moneta -. Tuttavia, l’Art Basel e Ubs Global Art Market Report 2025 ha evidenziato una crescita di nuovi acquirenti, insieme a un aumento delle vendite e delle transazioni realizzate in fiera». La parola d’ordine è ottimismo, dunque, anche rispetto ad analisti che osservano un declino delle fiere d’arte a vantaggio delle case d’asta: «Le fiere continuano a rappresentare il canale principale per le gallerie per entrare in contatto con nuovi collezionisti, oltre la dimensione commerciale. Le fiere sono luoghi vivi, in cui ci si incontra, si conversa, si costruiscono relazioni di fiducia».
Fondata nel 1969 dal mercante d’arte svizzero Ernst Beyeler, Art Basel poggia le basi su una solida tradizione che dal dopoguerra vede la Svizzera culla di importantissime collezioni appartenenti a elvetici oppure a stranieri residenti nei quattro cantoni: Emil Bührle, Ulla Dreyfus-Best, Ester Gether, Angela Rosengart, Werner Merzbacher, Hubert Looser, Barbier-Mueller, Maja Oeri, Maja Hoffmann, Uli Sigg, Hansjörg Wyss, Thomas Schmidheiny, Michael Ringier, oltre che le famiglie Hilti, Goulandris, Agnelli, Bulgari e gli eredi Thyssen-Bornemisza, giusto per fare qualche nome. Il merito di questa tradizione va anche a una politica fiscale favorevole e a norme che hanno consentito libertà di domicilio e l’assenza di limitazioni per l’esportazione di opere.
A tutt’oggi i collezionisti europei preferiscono conservare le loro preziose raccolte in Svizzera perché al riparo da dazi doganali. Niente Iva almeno finché le opere rimangano custodite in magazzini speciali di cui il paese è ricco, i cosiddetti porti franchi. Di questi luoghi sicuri e inaccessibili se ne contano a decine nell’area di Ginevra, Basilea, Zurigo e Chiasso, veri e propri bunker proliferati con il moltiplicarsi di un mercato dell’arte che ammonta a 57 miliardi di dollari. Oggi si stima che quasi l’80% delle grandi collezioni sia stipato nei porti franchi svizzeri che, oltre a proteggerle dal fisco, garantiscono massima riservatezza sulla proprietà, custodia in perfette condizioni climatiche (17 gradi) e una serie di servizi esclusivi come autentificazione, restauro, incorniciatura, valutazione e trasporto.
Il Fort Knox per eccellenza è a Ginevra, 140mila metri quadrati equivalenti a 22 campi di calcio dove sono conservate oltre un milione di opere appartenenti a mega-collezioni come quella del miliardario russo Dmitry Ryboloviev valutata 2 miliardi, o quella dei mercanti siriani Nahmad. Nei porti franchi di Ginevra è stipato un immenso museo nascosto che comprende migliaia di opere di Picasso, Mirò, Monet, Matisse, Kandinsky, Van Gogh, Modigliani, Magritte e via di questo passo; tra queste, anche il celebre “Salvator Mundi” attribuito a Leonardo e acquistato a un’asta Christie’s di New York dal principe saudita Mohammad bin Salman per 450 milioni di dollari. Quel dipinto, dopo l’aggiudicazione avvenuta nel 2017, è letteralmente sparito agli occhi del mondo: destinazione, appunto, i caveau di Ginevra.
I porti franchi rappresentano anche lo strumento che ha finora consentito agli oligarchi russi di mettere al riparo le loro collezioni dalle misure di congelamento dei beni adottate anche dal governo svizzero dopo l’invasione dell’Ucraina. Le nuove norme legislative recentemente adottate sulla tracciabilità delle proprietà e sulla provenienza delle opere (non sempre lecita) non hanno effetto retroattivo sui beni custoditi da decenni. E oggi? «Molte opere vengono acquistate e rivendute, spesso da fondi stranieri, senza mai lasciare i magazzini svizzeri e quindi al riparo dal fisco – dice un art advisor elvetico che preferisce l’anonimato – e questo vale anche per chi acquista in fiere come Art Basel: quei lavori comperati solo come merce di investimento, non lasceranno mai la Svizzera, considerati “beni in transito” fino al prossimo acquirente». Come recitava il vecchio detto, impara l’arte e mettila da parte.
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