Tic-tac, le lancette sono tornate a correre. Dopo alcuni decenni di silenzio di apparente inerzia, gli orologi da tasca hanno ripreso a scandire il tempo secondo il ritmo del mercato. A lungo relegati nelle cassette di sicurezza dei grandi collezionisti ormai scomparsi, questi gioielli di micro-meccanica sembravano destinati a un oblio inesorabile, provocato dalle scarsa passione delle nuove generazioni. Ma qualcosa è cambiato. Di recente, infatti, il mercato si è risvegliato con decisione e nel 2024 ha raggiunto un valore di 1,2 miliardi di dollari a livello globale, con previsioni d’ascesa fino a 1,6 miliardi entro il 2032. Così oggi le “cipolle” segnatempo insaporiscono di nuovo gli affari.

«Il settore è tornato molto vitale a tutti i livelli, al punto da avvicinare sia i piccoli collezionisti neofiti del settore, sia gli esperti che puntano a incrementare le loro raccolte con pezzi di assoluto pregio», spiega a Moneta Giacomo Cora, responsabile del dipartimento orologi da polso e da tasca di Wannenes, nonché unico operatore in Italia a organizzare aste monotematiche sui tascabili. A infiammare le compravendite sono ancora Patek Philippe, Vacheron Constantin e Breguet, che rivoluzionò l’orologeria con invenzioni come il tourbillon. Molto apprezzati anche i maestri inglesi Thomas Mudge e John Arnold, così come i gioielli realizzati nell’Ottocento da case americane quali Waltham ed Elgin. Le quotazioni si estendono su un arco molto ampio: si parte da poche centinaia di euro per i modelli più comuni del tardo Ottocento, fino a cifre a sei e sette zeri per gli esemplari più rari o sofisticati, anche realizzati in tempi più recenti. Il record assoluto appartiene difatti al Patek Philippe Henry Graves Supercomplication, capolavoro del 1933 battuto da Sotheby’s per oltre 24 milioni di dollari. Ma anche l’inglese Roger Smith, allievo di George Daniels, ha stabilito un primato moderno con il suo Pocket Watch Number Two, venduto da Phillips a New York per 4,9 milioni. E un raro esemplare donato a Winston Churchill è stato ceduto per 76 mila sterline.

«Il valore è dato dai materiali utilizzati per la manifattura, l’oro sopra tutti, ma anche dalla casa produttrice e dalla storia del singolo lotto. Il prezzo sale inoltre se l’orologio ha una storia importante. All’asta ho venduto pezzi provenienti dalle collezioni di Osvaldo Patrizzi, uno dei più influenti esperti mondiali di orologi, uno chatelaine di re Giorgio III, un orologio da tasca appartenuto alla principessa Sofia Fersen e un rarissimo coltellino da frutta con smalti policromi e lancette incastonate nel manico», racconta Cora. Come accade in tutti i settori di nicchia, anche in questo caso gli appassionati si aspettano eccellenza ed esclusività. «I veri collezionisti cercano l’oggetto in patina, funzionante, non lucidato né restaurato, tranne in rarissimi casi come gli orologi da tasca a carillon. In particolare, la perfetta conservazione degli smalti è oggi sempre più rara da trovare e rappresenta quindi una leva sul prezzo finale», illustra ancora l’esperto di Wannenes.

Poi, a movimentare gli affari sono pure i gusti dei singoli acquirenti, caratterizzati talvolta da una connotazione geografica. «I compratori cinesi amano i modelli con smalti e microperle, mentre in Turchia sono molto ricercati quelli con quadrante ottomano. I pezzi di alta epoca settecentesca e di produzione svizzera sono invece apprezzati in Francia e in Italia. Gli orologi in oro prodotti tra fine Ottocento e anni trenta del Novecento attirano infine una clientela prevalentemente estera», annota l’esperto, spiegando come queste differenze rappresentino un segno di forte vitalità in un settore che sembrava ormai avviato a scivolare nell’orbita dell’antiquariato (comparto che invece continua a soffrire). «In pochi anni siamo passati da un 70% di vendite nelle prime aste monosettore al 100% delle ultime sedute, con prezzi in costante crescita». La “cipolla”, insomma, fa di nuovo luccicare gli occhi. Sorpresa: l’investimento esce dal taschino e muove ancora la passione.

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