Non solo elisir di lunga vita ma anche un asset competitivo del Paese che sostiene la crescita economica e occupazionale. Un patrimonio che per il made in Italy ha un valore al consumo stimabile in quasi 300 miliardi di euro lungo tutta la filiera, tra mercato interno ed export dove, per le sue proprietà, si afferma nelle abitudini alimentari nei diversi continenti. La dieta mediterranea si è classificata quest’anno come migliore al mondo davanti alla dash e alla flexitariana sulla base del Best Diets Ranking elaborato dal media statunitense U.S. News & World’s Report’s, noto a livello globale per la redazione di classifiche e consigli per i consumatori. Un riconoscimento mondiale ottenuto grazie agli effetti positivi sulla salute ma anche perché è fra le più facili da seguire, adatta alle famiglie, semplice da organizzare con alimenti di base. È inoltre adatta anche a chi segue prescrizioni religiose halal o kosher. Un aspetto rilevante è quello che lega indissolubilmente la dieta mediterranea alla salute. È benefica per il cuore, perché è stata associata a una riduzione della pressione sanguigna, del colesterolo e del peso corporeo, nonché a migliori risultati di salute cardiovascolare e tassi inferiori di malattie cardiache e ictus. Gli antociani in bacche, vino e cavolo rosso sono considerati particolarmente salutari. Un ruolo importante per la salute è stato confermato proprio in prossimità dell’anniversario di 15 anni dall’iscrizione della dieta mediterranea nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanità dell’Unesco, avvenuta il 16 novembre 2010.
Nella decisione del Comitato di valutazione per l’iscrizione si sostiene peraltro che «la dieta mediterranea (da greco diaita, o stile di vita) comprende molto più che il solo cibo. Promuove l’interazione sociale, dal momento che i pasti collettivi rappresentano il caposaldo di consuetudini sociali ed eventi festivi». La dieta mediterranea, secondo l’Unesco, è caratterizzata da un modello nutrizionale che è rimasto costante nel tempo e nello spazio, i cui ingredienti principali sono olio di oliva, cereali, frutta e verdura, fresche o secche, una parte moderata di pesce, prodotti lattiero-caseari e carne, numerosi condimenti e spezie, il tutto accompagnato da vino o infusioni, sempre nel rispetto delle convinzioni di ogni comunità. Una risorsa del made in Italy con tutti i prodotti cardine della dieta mediterranea ai vertici mondiali. Il Belpaese è, infatti, il primo produttore mondiale di pasta e vino, mentre nell’olio occupa la piazza d’onore come pure per le conserve di pomodoro. Prodotti che rappresentano il motore dell’export agroalimentare tricolore che ha superato i 70 miliardi nel 2024.
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Si tratta di un tesoro del made in Italy che si estende dall’agricoltura all’industria alimentare, dalla ristorazione al turismo e che ha consentito all’Italia livelli di longevità fra più alti al mondo. I dati Eurostat raccolti nel 2024 mostrano infatti come l’aspettativa di vita per i cittadini dell’Unione sia stata di 81,7 anni e gli italiani sono quelli che vivono più a lungo, circa 84 anni, alla pari con svedesi e spagnoli. Valori ben superiori agli Stati Uniti che si ferma a 79,6 anni, alla Cina (78,4) e alla Russia (72,8). Eppure la dieta mediterranea è oggi sotto attacco. A preoccupare nell’immediato sono le guerre commerciali. A partire dalla politica dei dazi inaugurata da Donald Trump negli Stati Uniti, che sono il principale mercato di sbocco del made in Italy a tavola per i prodotti base della dieta mediterranea come vino, olio e pasta. E quest’ultima rischia di essere colpita addirittura da tariffe del 107%. Ma molto più pericolosi nel lungo periodo sono gli attacchi ai prodotti naturali con approcci semplicistici e coercitivi che sono oggetto di discussione in diversi Paesi ma anche negli organismi internazionali, come le tassazioni su singoli nutrienti, sistemi di etichettatura allarmistici quali il Nutri-Score o salutistici sul vino come quello varato in Irlanda e poi, momentaneamente, accantonato. La Gran Bretagna ha cambiato la tassazione sugli alcolici, a partire dal 1° febbraio 2025, introducendo un sistema che punisce gradualmente l’incremento di grado alcolico nella bevanda e colpisce i grandi rossi italiani. Una tendenza a demonizzare i prodotti ottenuti nei campi per aprire la strada di fatto al dilagare di modelli nutrizionali errati, fondati sul consumo elevato di cibi ultra processati e in futuro di quelli sintetici ottenuti in laboratorio.
Carne in vitro
Dopo il via libera in diversi Paesi alla commercializzazione di carne prodotta in vitro, con le prime richieste di autorizzazione per il foie gras arrivate anche a Bruxelles, alcune startup europee scommettono infatti ora sul pesce, componente determinante della dieta mediterranea. Annelies Bogaerts, ceo dell’azienda belga Fishway, ha annunciato di lavorare sulla produzione in laboratorio di orate e spigole e punta a presentare domanda di autorizzazione Ue entro il 2027 per arrivare a commercializzarle entro il 2030.
«La battaglia per la salute pubblica del futuro si gioca nei piatti dei bambini di oggi. E il nemico numero uno ha un nome preciso: i cibi ultra processati», ha affermato Antonio Gasbarrini, il direttore scientifico del Policlinico Gemelli di Roma e presidente del comitato scientifico Fondazione Aletheia. «Stiamo allevando generazioni di bambini nutriti con alimenti ipercalorici, ricchi di zuccheri, additivi, dolcificanti, grassi raffinati. Una “dieta industriale” che», ha precisato, «altera profondamente l’equilibrio del nostro organismo». Un allarme mondiale tanto che l’Unicef ha da poco pubblicato sul proprio sito le linee guida per difendere le giovani generazioni dai rischi del cibo ultra processato perché «è necessario riconoscerlo e sostituirlo con pasti sani». Otto italiani su dieci chiedono di vietare per legge la presenza, nelle mense scolastiche, dei cibi ultra processati, dai piatti precotti alle merendine confezionate, secondo l’ultimo rapporto Coldiretti/Censis. Una battaglia che si combatte anche sull’altra sponda dell’oceano dove un sondaggio di Washington Post e Kff ha evidenziato che il 78% dei genitori americani sostiene le normative governative per contenere coloranti, additivi alimentari e alimenti ultra processati promosse dal segretario della Salute Robert F. Kennedy Jr. e dal suo movimento «Make America Healthy Again» (Maha). Le etichette degli alimenti possono creare confusione, ma se stai cercando di riconoscere un alimento ultra processato – avverte l’Unicef – cerca semplicemente un lungo elenco di ingredienti !
Coldiretti e Filiera Italia
Coldiretti e Filiera Italia hanno recentemente richiamato l’attenzione sull’urgenza di difendere la dieta mediterranea, patrimonio culturale ed etico, in occasione della quarta riunione di alto livello dell’assemblea generale delle Nazioni Unite sulla prevenzione e il controllo delle malattie non trasmissibili e sulla promozione della salute e del benessere. «Se non invertiamo questa tendenza rischiamo per la prima volta che le nuove generazioni abbiano un’aspettativa di vita inferiore a quella dei genitori», ha avvertito Luigi Scordamaglia, ad di Filiera Italia. Sul fronte delle politiche, Coldiretti e Filiera Italia hanno ribadito la contrarietà a soluzioni semplicistiche come etichette a semaforo o tasse su singoli ingredienti: «La nutrizione va intesa in maniera olistica», ha concluso Scordamaglia, «educando i consumatori, a partire dai bambini, a scegliere cibi naturali, sani e sostenibili».
L’Unesco
Un obiettivo al quale può certamente contribuire il riconoscimento della cucina italiana come patrimonio immateriale dell’Unesco sul quale si è molto impegnato Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste e che sarà deciso a Nuova Delhi, il prossimo 10 dicembre. «La nostra cucina», ha sottolineato il ministro, «non è solo la realizzazione di un piatto ma quello che il piatto racconta: la ricerca, la trasformazione, la contaminazione di secoli di storia, la capacità di produrre tenendo conto la sostenibilità ambientale e sociale». «Non credo», ha detto Lollobrigida, «ci sia il bisogno di spiegare perché la cucina italiana merita al pari di quella francese, giapponese, coreana, messicana, di essere considerata patrimonio immateriale Unesco da proteggere. Vogliamo raccontare le nostre potenzialità e metterle a disposizione dei nostri ambasciatori, ossia i nostri cuochi e ristoratori in Italia e all’estero». «Intorno alla cucina italiana», ha concluso, «ci sono ambiente, turismo, economia, produzione» grazie ai 600mila ristoranti che nel mondo sono impegnati a promuoverla.
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