Il mercato italiano dell’arte va in vacanza sotto i migliori auspici, ovvero con l’entusiasmo degli operatori per il sospirato assist del governo che ha finalmente abbattuto la tassazione dell’Iva sulle compravendite di opere, in linea con quanto avevano già fatto i principali partners europei all’inizio di gennaio. Anzi meglio di loro, visto che la riduzione dell’aliquota è scesa dal 22 al 5%, mezzo punto in meno rispetto a quella della Francia fissata al 5,5 (la Germania è oggi al 7%).
Ma l’intervento legislativo scorporato dalla Finanziaria sarà sufficiente a rilanciare un settore che negli ultimi decenni ha visto penare le fiere italiane, inducendo i grandi collezionisti ad acquistare opere d’arte all’estero, i galleristi ad aprire sedi più proficue oltreconfine che ha visto proliferare il sommerso nelle compravendite? «È un passo necessario ma non sufficiente», commenta l’economista dell’arte Franco Broccardi, partner e co-fondatore dello Studio Lombard DCA, e tra i promotori del primo Osservatorio Arte Contemporanea che ha tra i suoi obbiettivi quello di monitorare il mercato.
«L’abbassamento al 5% dell’aliquota Iva è applicabile a tutte le operazioni di compravendita, incluse importazioni ed esportazioni di opere d’arte, beni da collezione e di antiquariato con più di cent’anni, a meno che non venga applicato il regime del margine per cui l’aliquota rimarrà al 22%. Il regime di margine è un regime Iva speciale applicabile alla vendita di beni usati, oggetti d’arte, antiquariato e da collezione in cui l’Iva non viene applicata sull’intero prezzo di vendita, ma solo sulla differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto del bene».
Restano fuori dalla riforma le case d’asta, perché non hanno in oggetto compravendite ma intermediazioni. I galleristi esultano, anche se per assistere a un vero rilancio del sistema italiano dell’arte bisognerà attendere. «Siamo diventati più competitivi rispetto ad altri Stati e possiamo combattere ad armi pari. L’agevolazione arriva in ritardo rispetto ai benefici in termini di attrattività che avremmo potuto sfruttare, ad esempio, al momento della Brexit, vantaggi che altri Stati, Francia in primis, hanno colto. Ma meglio tardi che mai», dice Broccardi. Un’occasione da non sprecare, insomma, anche perché le potenzialità del nostro mercato sono molto ampie. «Ma serve un salto di qualità. A separarci dai nostri concorrenti c’è un grado di maturità e trasparenza a cui dobbiamo tendere. Penso, ad esempio, all’eliminazione del sommerso che un’aliquota minore favorisce ma non assicura. Un mercato limpido, agile e consapevole non può che crescere. Così come un mercato che sappia includere il collezionismo più giovane investendo sul proprio futuro».
Sul mercato italiano gravano ancora normative che penalizzano soprattutto l’arte antica. «La riduzione dell’Iva al 5% porterà benefici a tutti ma per il nostro settore troppi lacci impediscono un vero rilancio», dice l’antiquario Carlo Orsi, presidente dell’Associazione Amici di Brera. Uno di questi lacci è la cosiddetta soglia di valore che impedisce di esportare un oggetto del valore superiore a 13.500 euro senza chiedere i permessi alla Sovrintendenza: «In altri Stati europei come Francia e Inghilterra esistono soglie molto più alte che prevedono l’autocertificazione per un dipinto fino a 300mila euro».
E poi c’è l’annoso problema delle notifiche per i beni di interesse pubblico. «Negli altri Paesi europei – dice Orsi – se lo Stato notifica un’opera è obbligato ad acquistarla; da noi la Sovrintendenza può decidere di bloccare un quadro e non acquistarlo mai. A me è capitato diverse volte, e quasi sempre secondo criteri arbitrari, così come arbitrario è il cosiddetto prezzo congruo fissato dallo Stato. La Francia rilascia passaporti di libera esportazione delle opere fissando un valore culturale e non venale. Sono tutti limiti che andrebbero sciolti (e lo si sta lentamente facendo) per dare un vero impulso al nostro settore». Michele Casamonti, titolare della galleria Tornabuoni con sede anche a Parigi precisa: «Difendere un vaso etrusco dalla possibile uscita illegale dal nostro Paese è sacrosanto; bloccare un’opera di Burri o di Fontana è invece insensato, perché gli artisti del XX secolo, a differenza degli etruschi, si sono battuti per poter esporre a livello internazionale». Quanto alla cosiddetta “fuga dei cervelli”, Casamonti vede un effetto positivo dalla defiscalizzazione: «Non so se le gallerie italiane all’estero rientreranno in patria. Certo è che ora meno gallerie avranno l’esigenza di partire».
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