Italia regina dei formaggi. Il nostro Paese è diventato quest’anno il primo esportatore dell’Unione Europea anche in quantità (oltre che in valore), con vendite in aumento del 5% nel primo semestre che hanno consentito lo storico sorpasso sulla Germania, secondo gli ultimi dati della Commissione Europea. Con 97.663 tonnellate e 968,2 milioni di euro, l’Italia realizza una crescita più che tripla rispetto alla media europea e il boom ha coinvolto tutti i principali mercati, a eccezione degli Stati Uniti, dove le vendite rallentano per l’incertezza legata ai dazi. Aumentano invece le spedizioni in Regno Unito (+5,7%), Norvegia (+9,3%), Canada (+18,9%), Corea del Sud (+40,8%), Arabia Saudita (+28,4%), Australia (+4,3%).
Si tratta solo dell’ultima dimostrazione della forza del settore lattiero caseario Made in Italy, che è la prima filiera agroalimentare del Paese grazie al lavoro di 100mila occupati e un fatturato di 21,8 miliardi di euro nella fase di trasformazione (+33% negli ultimi cinque anni). La produzione agricola vale 7,9 miliardi di euro (+50% nello stesso periodo) con la presenza di circa 24mila allevamenti bovini da latte, con un totale di circa 2,6 milioni di animali allevati. Il risultato messo a segno arriva dopo un 2024 che per l’export caseario italiano è stato uno degli anni migliori della sua storia. Le 658mila tonnellate esportate, dentro e fuori l’Unione, attestano un nuovo record dei volumi per il sedicesimo anno di fila e anche in valore si è raggiunto il massimo di sempre a 5,4 miliardi (+9,2% rispetto al 2023).
«I dati sull’export caseario sono un traguardo storico e sono il riconoscimento del lavoro straordinario dei nostri allevatori, dei caseifici e di tutta la filiera che, con impegno e passione, portano nel mondo un patrimonio di qualità, tradizione e innovazione. I formaggi italiani rappresentano non solo un’eccellenza gastronomica, ma anche un elemento identitario sempre più apprezzato all’estero», ha affermato il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida. La filiera si distingue anche per il peso nella domanda interna. Con una quota del 14% sul totale della spesa alimentare delle famiglie italiane (2024), il comparto si posiziona al terzo posto dopo ortofrutta e derivati dei cereali.
Nei primi sette mesi del 2025 gli acquisti di prodotti lattiero caseari hanno registrato un incremento del 6,6%, grazie soprattutto alla crescita dei consumi di formaggi freschi e yogurt. Se sul piano produttivo la Germania è il principale concorrente, su quello qualitativo la partita si gioca con la Francia, che può contare su ben 57 formaggi a denominazione di origine protetta tutelati dall’Ue, mentre il Belpaese è fermo a 53. La sfida tra Italia e Francia ha radici lontane. E se Charles De Gaulle si chiedeva come fosse possibile governare la Francia, che ha più formaggi che giorni nel calendario, la situazione non è tanto diversa nella Penisola. A unire i due Paesi è anche la lotta all’agropirateria internazionale che colpisce le eccellenze simbolo del Made in Italy, dal Parmigiano al Provolone fino Pecorino Romano ma anche quelle d’Oltralpe come il Brie e il Camembert.
Al ricco patrimonio Dop l’Italia affianca oltre 600 formaggi iscritti nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali del ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare. Si tratta di produzioni casearie realizzate con un metodo di lavorazione, conservazione e stagionatura consolidato da almeno 25 anni. Sono specialità che spesso rappresentano una vera ricchezza per le aree svantaggiate e di montagna dove gli allevatori svolgono anche una attività di presidio del territorio. «È necessario creare condizioni effettive di sicurezza nello svolgimento del proprio lavoro agli allevatori che svolgono un ruolo essenziale di tutela paesaggistica e di presidio del territorio», ha affermato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini.
In tavola
Secondo un recente studio presentato da Assolatte, il latte lavorato in Italia è destinato alla produzione di 2,5 milioni di tonnellate di latte alimentare e 1,4 milioni di tonnellate di formaggi (per il 44% Dop), oltre a yogurt e burro. Gran parte della produzione nazionale si concentra nella mozzarella (315mila tonnellate), nel Grana Padano (218mila tonnellate), nel Parmigiano Reggiano (163mila tonnellate), nel Gorgonzola (63mila tonnellate), a seguire Mozzarella di bufala campana (55mila tonnellate), Pecorino Romano (39mila tonnellate), burrata e stracciatella (47.500 tonnellate, di cui 600 di Burrata di Andria Igp), Provolone (28mila tonnellate, di cui 7mila Valpadana Dop), mascarpone, crescenza, e Asiago Dop.
Un patrimonio che oggi deve fare i conti con una tariffa del 15%, risultato del negoziato tra l’Ue e l’amministrazione Trump, che assorbe i dazi ordinari e i sovradazi in vigore dallo scorso aprile. Se per alcuni prodotti come il Parmigiano e il Grana Padano si è trattato di fatto di un miglioramento rispetto alla situazione precedente, per tante specialità (come la mozzarella e gli altri formaggi freschi, il Gorgonzola e i Pecorini) si è verificato un aumento delle tariffe che i buyer americani scaricheranno, almeno in parte, sui produttori nazionali. Una situazione preoccupante la sta vivendo il Pecorino Romano che con il 40% di prodotto esportato negli Usa nel 2024 è tra i comparti dell’alimentare nazionale più esposti alla nuova tassazione. Gli Stati Uniti, oltre a essere il primo mercato extraUe per l’industria casearia Made in Italy, sono anche il Paese dove più diffuse sono le imitazioni low cost dei formaggi nazionali. Si tratta di una concorrenza sleale che minaccia le esportazioni tricolori. Se infatti i nomi sono simili a quelli italiani, le caratteristiche sono differenti. A pesare sul mercato è però la differenza di prezzo che rende le brutte copie a stelle e strisce competitive.
L’agropirateria
Negli ultimi dieci anni la produzione di Parmesan, romano, provolone, ricotta, mozzarella e altri similari, dal Wisconsin alla California, è aumentata del 22% e ha raggiunto nel 2024 il valore massimo di sempre di 2,73 miliardi di chili, secondo l’Osservatorio Coldiretti. A fare la parte del leone è la mozzarella, con 2,17 miliardi di chili, seguita dal Parmesan con 203 milioni, dal provolone con 176 milioni, la ricotta 110 milioni e dal romano (oltre 27 milioni di chili), brutta copia del nostro pecorino fatto peraltro con latte di mucca. La vera minaccia al settore viene però dal latte sintetico, sul quale stanno lavorando diverse start up a livello mondiale. Il primo Paese a mettere in commercio i prodotti di laboratorio da esso derivati è stato Israele, grazie all’azienda Remilk, che assicura di essere riuscita a realizzare una bevanda simile al latte, senza lattosio o grassi animali. Un’altra azienda già attiva nel settore è l’americana Perfect Day.
Entrambe le aziende hanno già ottenuto l’autorizzazione al commercio in diversi Paesi. L’Italia, anche grazie alla spinta della Coldiretti, che ha raccolto due milioni di firme, si è dotata di una legge che vieta la produzione, commercializzazione e importazione di alimenti e mangimi prodotti da colture cellulari o tessuti animali (il cosiddetto “cibo sintetico”). Ma non mancano le pressioni anche a livello comunitario per ottenerne il via libera, nonostante la Fao abbia individuato 53 pericoli potenziali per la salute. Si tratta di un business che fa gola e gli investimenti stanno crescendo: in campo sono scesi imprenditori del calibro di Bill Gates (fondatore di Microsoft) , Eric Schmidt (cofondatore di Google), da Peter Thiel (co-fondatore di PayPal) a Marc Andreessen (fondatore di Netscape), da Jerry Yang (co-fondatore di Yahoo!), Vinod Khosla (Sun Microsystems).
D’altra parte latte e formaggi sono sempre più gettonati e gli uomini d’affari devono aver valutato che in un piatto ricco ci può essere spazio anche per proposte alternative sostenute da una ben orchestrata campagna di demonizzazione dei prodotti naturali. La filiera lattiero-casearia a livello mondiale ha registrato nel 2024 una produzione di circa 984 milioni di tonnellate di latte, con una domanda in crescita del 3-4% annuo secondo la International Dairy Federation (Idf).
I dati evidenziano la rilevanza economica e sociale del settore: 6,5 miliardi di persone includono i prodotti lattiero-caseari nella propria dieta. Secondo le previsioni Fao, con l’ incremento demografico al 2050 ci sarà un aumento del consumo globale di proteine animali superiore al 20%, di cui almeno il 30% rappresentato da prodotti lattiero-caseari.
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