Contrordine, non si chiude. Tra sei mesi avrebbero dovuto spegnersi Doel 4 e Tihange 3, gli ultimi due reattori in territorio belga, ma lo scorso 15 maggio il parlamento ad ampia maggioranza ha accantonato la decisione risalente al 2003 di abbandonare gradualmente il nucleare. Negli stessi giorni, a Copenaghen si è dato il via all’analisi del potenziale uso del nuovo nucleare a esattamente quarant’anni di distanza dalla decisione del paese di vietare l’energia nucleare. A saltare all’occhio è che proprio un Paese all’avanguardia nelle rinnovabili come la Danimarca – con quasi il 90% della sua elettricità generata da fonti green e che mira ad arrivare al 100% entro il 2030 – decida di analizzare i potenziali benefici dell’utilizzo dei reattori nucleari. «Sappiamo tutti che non possiamo avere un sistema elettrico basato solo sul solare e sull’eolico, ci deve essere qualcos’altro per supportare la sicurezza energetica», ha tagliato corto Lars Aagaard, ministro danese per l’Energia e il Clima. La sponda del nucleare ha una doppia utilità in quanto, oltre a garantire ulteriore energia, permette un approvvigionamento energetico continuo, utile a bilanciare l’intermittenza che caratterizza l’eolico e il solare. Copenaghen intende diventare carbon neutral entro il 2045 e, così come tanti altri paesi, deve fare i conti con una crescente domanda di elettricità dettata dal boom dell’intelligenza artificiale, a cui si aggiunge un’impennata dei costi nell’eolico che ha costretto la danese Orsted ad annullare o rinviare alcuni progetti, tra cui quello del più grande parco eolico offshore del Regno Unito.
Rispetto al quattro decenni fa, quando l’opposizione dell’opinione pubblica per questioni ambientali era altissima, adesso i sondaggi d’opinione vedono la maggioranza dei danesi favorevoli alla fine del bando nucleare, in virtù della maggiore sicurezza percepita grazie alle nuove tecnologie. Anche la vicina Svezia sta pianificando di tornare a investire sul nucleare e la Finlandia nel 2023 ha messo in funzione un nuovo reattore da 1.600 megawatt – che da solo assicura il 40% del fabbisogno elettrico nazionale – accompagnato da progetto Onkalo, primo bunker sotterraneo (430 metri di profondità) progettato per stoccare scorie nucleari della vicina centrale per almeno 100 anni (fino a 6500 tonnellate di rifiuti radioattivi). A livello globale ammontano a oltre 40 i Paesi che stanno progettando la costruzione di nuove centrali nucleari e risulta di oltre 70 gigawatt la nuova capacità nucleare in costruzione, uno dei livelli più alti degli ultimi 30 anni. A fare da traino è la Cina che da sola rappresenta quasi la metà delle nuove centrali in cantiere. Potenze quali Usa e Gran Bretagna affiancano alle classiche centrali anche lo sviluppo di piccoli reattori modulari; proprio a questi ultimi guarda l’Italia che con l’attuale governo Meloni ha riacceso il capitolo nucleare con una tabella di marcia volta ad arrivare entro il 2050 a coprire con il nucleare di nuova generazione, ossia gli small modular reactors (Smr), tra l’11 e il 22% della domanda elettrica nazionale, che stando alle stime di EY porterebbe a un risparmio annuo in termini di import di energia tra gli 8 e i 10 miliardi di euro.
Il mea culpa di Berlino
A mangiarsi le mani è invece la Germania. Berlino ha chiuso nel 2023 le ultime tre centrali nucleari operative, proprio nel momento di maggior bisogno con la guerra in Ucraina e il blocco delle importazioni di gas russo che avevano riacceso il dibattito sull’utilità del nucleare dopo un percorso durato 20 anni – iniziato dal cancelliere Gerhard Schröder, sotto la spinta dei Verdi, e proseguito sotto i quattro mandati di Angela Merkel – sfociato nell’addio al nucleare; un esito pagato a caro prezzo dai tedeschi che nella loro forsennata corsa alle energie più green si sono trovati nella situazione assurda di dover riaprire temporaneamente le super-inquinanti centrali a carbone per sopperire alla carenza di energia. «Continuare a sfruttare centrali esistenti è una buona soluzione e quindi il Belgio va nella giusta direzione – rimarca a Moneta Luigi De Paoli, professore Emerito all’Università Bocconi, dove è stato professore ordinario di Economia applicata – in quanto evita un decremento elevato della generazione di energia estendendo la vita delle centrali attraverso i necessari interventi di ringiovanimento. Chi ha i reattori li può utilizzare per più tempo facendo tutta la manutenzione che serve, come sta facendo la Francia». Stessa strategia per gli Stati Uniti, leader con un centinaio di reattori, tutti abbastanza datati (età media 42 anni) con la Nuclear Regulatory Commission (NRC) che ha autorizzato l’estensione di 20 anni della durata rispetto ai 40 previsti (e per alcuni si è arrivati già ad autorizzare un prolungamento fino a 80 anni. I tedeschi hanno invece scelto «per ideologia e togliersi un problema politico» di chiudere tutto. Angela Merkel fino all’incidente di Fukushima si era mossa per prolungare la vita delle centrali, poi l’opposizione all’atomo è aumentata e l’epilogo è sotto gli occhi di tutti. Nel 2023 la Germania ha effettuato le chiusure degli ultimi reattori e tornare indietro non è più fattibile in quanto i costi sarebbero esorbitanti.
A corto di energia
Come detto, a livello mondiale le attese sono di rapido aumento dei consumi di elettricità con i data center che da soli andranno ad assorbire 945 terawattora (TWh) nel 2030, più che raddoppiando rispetto ai 415 TWh del 2024 (stime dell’Agenzia Internazionale dell’Energia). Considerando che per la sponda degli Smr bisognerà attendere ancora un po’, per aumentare il contributo dal nucleare De Paoli ritiene che la strada maestra sia affidarsi alle tecnologie tradizionali migliorate, la cosiddetta terza generazione Plus, quali le Epr in Europa e le P1000 negli Stati Uniti e in Cina, entrambe con reattori ad acqua pressurizzata, con le seconde che abbinano elevati standard di sicurezza a tempi e costi di realizzazione più brevi rispetto ai reattori tradizionali.
© Riproduzione riservata