Il casus belli di questo autunno è rimbalzato sulle pagine di un’autorevole testata specializzata, gettando ombre sul mercato dell’arte italiano anche riferito a grandi nomi come i futuristi; primo tra tutti Giacomo Balla su cui, secondo il docente internazionale Fabio Benzi, la confusione sarebbe grande per quanto riguarda le attribuzioni, con conseguente diffidenza da parte soprattutto del mercato internazionale. Ma più che l’intervento di Benzi, che parla di un mercato in cui «proliferano opere non autografe, prive di provenienze plausibili avvallate però da singoli studiosi che autenticano unilateralmente la produzione di artisti come Balla, Boccioni, Depero, Baldessari e molti altri», colpisce la replica della studiosa Elena Gigli che, tirata in ballo in quanto curatrice di un catalogo ragionato previsto proprio per Balla, invita a non scandalizzarsi: «Tutti sanno», replica sul Giornale dell’Arte, «che il mercato italiano a partire dal secondo dopoguerra è stato caratterizzato da una forte opacità, per l’abitudine di pagare in nero, di pagare in contanti, di pagare su conti esteri, cosa che impedisce del tutto la ricostruzione della provenienza delle opere», ovvero la carta d’identità di un’opera d’arte. Un problema, questo, aggravato dall’affinamento dei falsari.
I collezionisti sono dunque costretti a districarsi in un mercato da Far West? Per fortuna le cose non stanno esattamente così e una operazione di pulizia sulle false attribuzioni è in corso grazie alla costituzione di archivi affidabili. L’ultimo goal è arrivato dalla pubblicazione del primo catalogo ragionato sull’opera pittorica 1960-1969 di Mario Schifano. «Schifano è il caso esemplare di un mercato italiano che è stato opaco fino al 2005», dice lo storico Marco Meneguzzo, il curatore, «Artista disordinato e al contempo molto prolifico e costoso, Schifano veniva falsificato già in vita. La situazione si è complicata con la creazione di una Fondazione, successivamente screditata dalla vedova Monica De Bei Schifano, che anni fa pubblicò un catalogo di cinque volumi con oltre 20mila opere… Oggi per fortuna la situazione è stata ripulita e anche le case d’asta accettano solo quadri riconosciuti dall’Archivio Schifano».
Va anche detto che non sempre gli eredi rappresentano una garanzia assoluta di autenticità e sugli archivi degli artisti del Novecento italiano – da Fontana a Boetti, da Manzoni a Sironi – il lavoro è ancora lungo. «La domanda è: l’erede in questione è vissuto davvero vicino all’artista? Vanta conoscenze accreditate sul suo lavoro? La legge che tutela gli eredi purtroppo non offre garanzie in merito», continua Meneguzzo, «l’unica a cui può fare riferimento il collezionista è la presenza di un archivio accreditato composto da una commissione che non abbia interessi economici». L’archivio è competente anche sulle opere minori, quelle più a rischio di falsificazione, come i disegni. «Di opere dubbie in circolazione ce ne sono eccome e sono in genere quelle che continuano a rispuntare anche nelle fiere. Quelle buone stanno a casa dei collezionisti e in genere tornano sul mercato solo in caso di decesso o bancarotta».
A tutela del sistema esiste dal 2014 l’Associazione Italiana Archivi d’Artista (Aitart). «Un archivio può essere considerato tale solo quando ha raggiunto un livello adeguato di organizzazione e di affidabilità nelle proprie competenze sull’artista», sottolineano Filippo Tibertelli de Pisis e Alessandra Donati, rispettivamente presidente e presidente del comitato scientifico di AitArt, «Prima di questo stadio non si dovrebbe parlare di archivio, ma solo di un gruppo di appassionati che seguono l’artista e che possono esprimere dei giudizi, senza però avere la profondità necessaria. L’autorevolezza di un archivio si fonda su competenza e approfondimento dello studio dell’opera dell’artista, da cui deriva la validità della valutazione delle opere e il giudizio sulla loro autenticità; un archivio incompleto o poco trasparente espone collezionisti e galleristi al rischio di affidarsi a pareri non fondati».
Una delle questioni più spinose rimane quella degli eredi a cui la legge conferisce di fatto pieni poteri. «Gli eredi hanno un ruolo importante, che consiste soprattutto nel verificare e pretendere professionalità e trasparenza nella valutazione e nella considerazione delle opere d’arte. Se un erede possiede competenze specifiche e documentate, può esprimere un proprio giudizio, ma il compito di valutare e contestualizzare l’opera spetta solo al critico d’arte che conosce l’artista».
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