Un settore in fermento in Italia ma ancora sottovalutato: quello della tecnologia applicata alla salute e al benessere femminile, che tra gli addetti ai lavori si chiama femtech. Si contano 92 realtà censite sul territorio nazionale, guidate in gran parte da donne. Un numero ancora contenuto, ma in costante crescita, soprattutto se si considera che quasi la metà di queste realtà è nata dal 2023 in poi. Tuttavia, il gap negli investimenti e nel supporto istituzionale rischia di frenare un ambito che, a livello globale, si stima supererà i 120 miliardi di dollari entro il 2033. È quanto emerge dal Rapporto dell’Osservatorio FemTech, il primo nel suo genere nel nostro Paese e realizzato da Tech4Fem, la realtà italiana dedicata all’innovazione per la salute delle donne.
Una crescita guidata da donne
un altro dato significativo riguarda la composizione delle imprese analizzate: il 79% ha almeno una donna tra i fondatori, e nel 76% dei casi in cui c’è un’unica fondatrice, si tratta di una donna. Questi numeri, in netta controtendenza rispetto alla media nazionale, dove meno del 20% delle startup innovative è guidato da donne, confermano che il femtech è uno dei pochi ambiti in cui la leadership femminile è già una realtà. Tuttavia, questa presenza femminile non basta a colmare il divario di accesso al capitale: meno del 2% dei fondi di investimento in Italia è destinato a team guidati da donne.
Un gap che frena gli investimenti
Nonostante questo fermento, il settore resta fragile sul piano economico. La metà delle imprese attive nel femtech italiano registra un fatturato annuo inferiore ai 50mila euro. Il giro d’affari complessivo è stimato tra i 41 e i 100 milioni di euro, una cifra che mostra il potenziale, ma anche i limiti attuali di un comparto che fatica a crescere in assenza di sostegni concreti. E infatti sul fronte degli investimenti, il quadro è ancora più critico: il 64% delle realtà si autofinanzia, solo il 13% ha raccolto più di un milione di euro, mentre il 38% non ha mai avviato alcuna attività di raccolta fondi. Il capitale di rischio resta una risorsa marginale, mentre l’accesso al credito è spesso ostacolato da barriere culturali e da un sistema finanziario ancora poco sensibile alle sfide dell’imprenditoria femminile. I business angels sono presenti (28%), ma i fondi venture capital e private equity sono marginali.
Geografia e competenze: due altri nodi critici
La distribuzione geografica delle imprese evidenzia inoltre una forte concentrazione nel Nord Italia, con la Lombardia che da sola raccoglie il 37% delle realtà mappate. Il Centro e il Sud restano aree scarsamente rappresentate, nonostante mostrino segnali di interesse e potenziale crescita. Anche sotto il profilo delle competenze, il settore sconta una certa fragilità: i team fondatori sono spesso carenti di profili tecnici e scientifici, in particolare nelle discipline informatiche e nell’analisi dei dati, limitando così la possibilità di sviluppare soluzioni digitali realmente competitive.
Oltre la metà delle imprese si configura come startup innovativa, mentre cresce la presenza di società benefit con una forte attenzione all’impatto sociale. Il legame con il territorio resta prevalente, ma circa il 20% delle realtà già guarda all’estero, con una proiezione verso i mercati europei e internazionali. Tuttavia, il supporto istituzionale è percepito come insufficiente dalla metà delle imprese, e più della metà segnala difficoltà medio-alte nei rapporti con banche, investitori e stakeholder.
Un’opportunità strategica per l’Italia
Eppure, il femtech rappresenta un’opportunità chiave per ripensare la salute delle donne in un’ottica di equità, sostenibilità e innovazione. In un Paese come l’Italia, dove le donne vivono più a lungo ma spesso con una qualità della vita compromessa da patologie croniche non adeguatamente considerate dalla medicina tradizionale, investire in soluzioni mirate significa non solo colmare un divario sanitario, ma anche affrontare in modo strategico le sfide dell’invecchiamento della popolazione. La longevità femminile, se accompagnata da adeguati strumenti di prevenzione e cura, può diventare un motore di sviluppo economico e sociale.
“Dati, numeri e storie che mostrano chiaramente come il divario nella salute femminile non sia solo una questione di equità, ma anche di economia e di futuro. – commenta commenta Valeria Leuti, fondatrice di Tech4Fem – Le donne vivono più a lungo, ma passano più anni in cattiva salute; patologie che incidono profondamente sulla qualità della vita femminile ricevono una frazione minima dei finanziamenti; le startup guidate da donne incontrano ostacoli sproporzionati nell’accesso ai capitali”.
Il contesto internazionale racconta una storia diversa: secondo le stime di Precedence Research, il mercato globale del femtech supererà i 120 miliardi di dollari entro il 2033. In questo scenario, l’Italia rischia di restare indietro se non saprà intercettare le esigenze di una popolazione femminile sempre più longeva, attenta al proprio benessere e desiderosa di soluzioni nuove, inclusive e mirate. La salute delle donne non è una nicchia di mercato, ma un ambito strategico per il futuro dell’innovazione. E oggi più che mai, richiede investimenti, visione e coraggio.
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