Mentre i pacchi di Amazon si spostano a ritmo serrato e nell’orizzonte dell’innovazione sfreccia il razzo di Blue Origin, a terra rimane un’impronta. E non è leggera. L’eco dell’impero di Jeff Bezos risuona non solo nei mercati globali, ma anche nei delicati equilibri del pianeta. Tanto che le diverse promesse green appaiono sempre più in bilico tra reale impegno e operazioni di greenwashing. Anche il suo ambizioso fondo per il clima e l’ambiente si racconta in toni verdi ma lascia molte ombre. Il Bezos Earth Fund, lanciato nel 2020 con una dotazione da 10 miliardi di dollari, ha suscitato scalpore quest’anno interrompendo i finanziamenti all’iniziativa Science Based Targets, il principale ente per la definizione degli standard climatici al mondo. In altre parole, l’organismo che influenza le modalità con cui le grandi aziende possono raggiungere un’etichetta “net zero” credibile. Una decisione interpretata da The Guardian e Financial Times, che hanno diffuso la notizia, come un tentativo del miliardario di ingraziarsi l’amministrazione Trump, a discapito di una seria politica climatica. L’impronta ecologica del magnate solleva interrogativi: quanto può pesare un uomo sull’ambiente, quando il suo passo è quello di un gigante?
Un gigante nelle emissioni
La mastodontica rete logistica di Amazon è un gigante anche in fatto di emissioni. Secondo il suo rapporto di sostenibilità, nel 2023 ha liberato 68,82 milioni di tonnellate di CO2, un quantitativo inferiore rispetto all’anno prima, ma paragonabile a quasi il doppio delle emissioni complessive della Svezia intera.
Nonostante Amazon dichiari visione net-zero per il 2040, l’obiettivo è ancora lontano. E alcuni dati dicono persino altro: un rapporto, pubblicato da Environment Pacific, rivela una crescita del 18% su base annua delle emissioni di CO2 legate a consegne e trasporti di Amazon negli Stati Uniti dal 2019 al 2023, cioè da quando l’azienda ha annunciato questo ambizioso target.
La colpa? La crescente dipendenza di Amazon dal trasporto aereo di merci e l’espansione dei furgoni per le consegne alimentati a combustibili fossili.
Tra voli cargo da record e furgoncini pesanti – responsabili del 37% delle emissioni per singolo pacco – Amazon sembra correre più dietro alla logistica che alla sostenibilità, pur sostenendo di aver già aggiunto altri 19mila furgoni elettrici, in un programma che punta a 100mila entro il 2030. Sorprende però il gap tra la promessa di riduzione e la realtà delle consegne.
L’impatto che brucia nell’aria
A sollevare l’interrogativo è stata di recente la missione della sua compagnia spaziale privata Blue Origin, che lo scorso aprile ha portato sei donne famose oltre l’atmosfera terrestre per undici minuti. Un volo breve, ma sufficiente ad alzare preoccupazioni sull’impatto ambientale del viaggio.
Il sistema New Shepard, in teoria, è una promessa ecologica: riutilizzabilità del 99% e manutenzione minima, proprio per ridurre i costi di accesso allo spazio e gli sprechi, un motore alimentato da ossigeno liquido e idrogeno. E vapore acqueo come unico scarto, assicura Blue Origin. Senza emissioni di carbonio. Il suo sogno interplanetario, però, sembra non essere così green. La realtà atmosferica racconta infatti un’altra storia. Eloise Marais, professoressa associata in Geografia Fisica della University College London, ha calcolato che le particelle di fuliggine immesse in stratosfera dai voli turistici nello spazio, come quello di Blue Origin (ma non solo), hanno un potere riscaldante 500 volte superiore a quello di un aereo tradizionale, trasformando un volo di pochi minuti in una potenziale miccia climatica significativa. Che verrebbe amplificata se questi voli spaziali diventassero frequenti, come Bezos spera per il prossimo futuro.
Tra jet e yacht, il lusso che pesa
Nel quadro ambientale di Bezos, non passa inosservata anche la sua impronta di miliardario. Secondo il recente studio “Carbon Inequality Kills”, redatto da Oxfam, solo i due jet privati del magnate emettono 2.908 tonnellate di anidride carbonica all’anno, più di quanto due dipendenti Amazon produrrebbero nell’arco della loro intera vita. A questo si aggiunge il suo super yacht di 127 metri, che genera 7.154 tonnellate di gas serra ogni anno, equivalente a 447 volte l’impronta annuale di un americano medio, secondo un’analisi condotta un anno e mezzo fa dai ricercatori dell’Università dell’Indiana e raccolta dal quotidiano New York Post.
Il paradosso Bezos è evidente: da un lato sostiene fondi climatici, fissa obiettivi ecologici, investe in tecnologie “pulite”, dall’altro le sue promesse green si scontrano con una realtà dei fatti tutt’altro che sostenibile.
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