L’intimo non è più solo un capo funzionale: è diventato uno specchio delle nuove soggettività maschili. I numeri lo confermano e raccontano uno spostamento culturale con implicazioni pratiche. Secondo uno studio del 2025 pubblicato sul Journal of Sexual Medicine, il 73% delle donne acquista biancheria intima per il partner almeno occasionalmente, e il 30,5% lo fa regolarmente. Gli uomini restano così spettatori: solo il 27% di chi è in coppia sceglie autonomamente la propria biancheria.
Questi dati non sono aneddoti: descrivono ruoli di genere storici che oggi scricchiolano. Fino all’età adulta, l’intimo maschile passa da madre a partner, attraversando fasi che mostrano come la scelta dell’underwear sia spesso collegata a relazioni affettive e performatività piuttosto che a una identità individuale.
L’intimo uomo muove i capitali, più di quello femminile
Lo spostamento non è solo psicologico, ma è anche e soprattutto economico. Il mercato globale dell’intimo maschile vale circa 40 miliardi di dollari ed è in crescita più rapida rispetto a quello femminile, con un salto annuale stimato intorno al 5–6%. Il segmento premium registra una dinamica ancora più vivace (+6,3% annuo), con la vendita online che avanza del 7,4%, chiaro segno che la domanda di qualità trova sempre più canali diretti.
Il cambiamento culturale, con la maggiore attenzione al corpo, al comfort e a uno stile personale meno stereotipato, sta quindi convergendo con un’opportunità commerciale: gli uomini cominciano a volere capi che parlino di loro, non solo strumenti funzionali.
Made in Italy e paradosso produttivo
Qui entra in gioco un paradosso italiano. L’Italia è ancora percepita come custode di sartorialità e gusto, ma la filiera dell’intimo maschile di fascia alta è in molti casi delocalizzata: molti brand che comunicano “italianità” producono all’estero. Di conseguenza, esiste uno spazio concreto per proposte che ricostruiscano un legame reale tra design, manifattura e territorio.
Milano, con la sua rete di eccellenze creative e artigianali, è naturalmente osservatorio e terreno di prova: città che non è solo “vetrina” della moda, ma luogo dove si immaginano e si concretizzano pratiche produttive.
Tra le risposte a questo spazio di mercato e cultura nasce Bertoldo, un progetto che si presenta come esempio pratico di ciò che in teoria il mercato richiede: intimo maschile pensato, disegnato e prodotto in Italia, anzi proprio a Milano, con tutto il percorso a vista. Materiali di alta qualità, come jersey di cotone e popeline rigorosamente italiani, con confezione manuale affidata ad artigiani con decenni di esperienza e una palette cromatica che rompe la sobrietà plastica dell’underwear tradizionale (verde, blu, lilla, fucsia in nove combinazioni). L’idea della fondatrice, Francesca Cutrone, è quella di dimostrare che si può produrre eccellenza in Italia partendo da zero: la scelta di una filiera interamente italiana è al tempo stesso un’operazione culturale e strategica.

Si potrebbe liquidare Bertoldo come il solito progetto di nicchia. Invece, i segnali di mercato dicono che la nicchia può essere la punta di una tendenza: la crescita più rapida del segmento premium e dell’online suggerisce che chi investe in qualità manifatturiera e in una narrazione credibile può intercettare consumatori, uomini e partner, disposti a pagare per capi che hanno storia, design e provenienza tracciabile.
Insomma, i dati mostrano una verità semplice: per decenni l’intimo maschile è stato un sottoprodotto di scelte altrui. Oggi, la pressione congiunta di nuove concezioni del corpo, di canali di vendita diretti e di una domanda di qualità apre la strada a una trasformazione. Milano – capitale di stile ma anche luogo di produzione e sperimentazione – può essere il punto di partenza di questa riscoperta. Perché, se la scelta dell’intimo smetterà di essere un atto secondario e diventerà sempre più scelta personale, non sarà solo un cambiamento nel guardaroba: sarà un cambiamento nel modo in cui gli uomini si raccontano.
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