Pesce garantito e posti di lavoro. Il settore ittico è una ricchezza per il nostro Paese. Quasi 12mila imbarcazioni tricolori con una stazza di 140mila tonnellate nel corso del 2024 hanno portato sulle tavole nazionali quasi 118mila tonnellate di pesce per un valore di 635 milioni di euro. Sono questi i numeri aggiornati della flotta italiana che tra nuove minacce e opportunità rimane un settore cardine del Made in Italy, capace di garantire reddito e occupazione a migliaia di famiglie, ma anche di offrire un contributo importante alla dieta mediterranea. Gli acquisti di prodotti ittici nel primo semestre del 2025 hanno registrato un incremento in valore del 7,2% sostenuti sia dai prezzi in rialzo che dalle quantità. A stimolare questo risultato è stata soprattutto la crescita della spesa del pesce fresco, che rappresenta oltre la metà del totale. Ma la flotta italiana è sotto attacco. Per la burocrazia e le norme restrittive a livello nazionale e comunitario, per la concorrenza a basso costo delle importazioni dall’estero e per i cambiamenti climatici che riducono il pescato e favoriscono l’arrivo di specie invasive come il granchio blu che rischia di far scomparire interi distretti produttivi.
Pesce scorpione e pesce palla
Sono infatti quasi un centinaio le specie aliene che hanno preso d’assalto negli ultimi anni i mari italiani, dal pesce scorpione alla triglia tropicale, dal pesce palla maculato fino al granchio blu, con un grave impatto, non solo sulla biodiversità, ma anche sulla blue economy. Un’invasione di cui il granchio blu è diventato il simbolo, con un danno stimato da Coldiretti Pesca in quasi 200 milioni di euro che ha messo a rischio l’attività di oltre 3mila aziende ittiche, con diverse realtà che sono state costrette a chiudere i battenti, soprattutto tra Emilia Romagna e Veneto. Per difendere le produzioni le imprese sono state costrette a investire in attrezzature spesso molto costose, con reti a maglie adatte a proteggere gli impianti, ma l’assedio dei predatori non si è fermato e con esso i pesanti danni economici. Anche se non è certo mancata la capacità di innovazione che va dalla ricerca di nuovi mercati che apprezzano il granchio blu a tavola alla sua trasformazione a fini energetici o come cibo per cani e gatti.
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I numeri della pesca italiana parlano chiaro e si nota una evidente contrazione nella consistenza della flotta, che passa dai 14.873 battelli del 2004 agli 11.566 del 2024, registrando quindi una flessione del 22%. In altre parole è scomparsa più di una barca su cinque negli ultimi 20 anni. La riduzione peraltro ha interessato maggiormente i battelli con dimensioni superiori alla media con il tonnellaggio che si è ridotto del 32%. A pesare è soprattutto la redditività come emerge dall’esame della serie storica dei prezzi medi degli ultimi anni pagati ai pescatori che evidenzia una leggera riduzione nel 2023 e un più marcato calo nel 2024 che ha provocato una contrazione dei ricavi del 5% a fronte di una produzione che non ha mostrato variazione significativa rispetto al 2023. Il risultato è che negli ultimi 40 anni la dipendenza dell’Italia dall’importazione è passata dal 30% a quasi il 90% dei consumi complessivi.
I ristoranti
Nel solo 2024 sono sbarcate in Italia circa 840mila tonnellate di pesce straniero che arrivano sulle tavole delle case e dei ristoranti degli inconsapevoli consumatori. E per questo se si vuole sostenere la flotta nazionale e garantirsi freschezza e qualità è fondamentale leggere con attenzione le etichette al banco e privilegiare il pescato italiano, spesso nascosto dietro sigle poco comprensibili come Fao 37 al posto della semplice dicitura Italia. Nei ristoranti, Coldiretti Pesca spinge per arrivare all’obbligo di indicare nel menu la zona di cattura o il Paese d’origine del pesce considerando che è importante per garantire la trasparenza nel consumo fuori casa che rappresenta addirittura il principale canale di commercializzazione per fatturato.

«Dinanzi a una vera e propria emergenza per il futuro del settore occorre però anche mettere in campo misure di sostegno alle imprese ma soprattutto provvedimenti strutturali, con un cambio di passo rispetto alle politiche attuali», afferma Daniela Borriello, responsabile di Impresa Pesca Coldiretti nel sottolineare che «le strategie per contrastare la crisi degli stock ittici si sono concentrate sino a oggi quasi esclusivamente su misure di riduzione dello sforzo di pesca, come il fermo biologico, e di restrizione delle attività e dell’uso degli attrezzi, fino all’ipotesi di vietare la pesca a strascico». Al contrario – spiega – per salvare la Flotta Italia occorrono norme strutturali che tengano in considerazione tutti i fattori che impattano sulla biodiversità del nostro mare e che regolano le problematiche dei cambiamenti climatici. In tale ottica servono risorse economiche strutturali, e non più legate alle singole emergenze, con adeguate forme di supporto e indennizzo e tempi più celeri e sicuri di attuazione. È necessario sostenere il ricambio generazionale, aprire i “corridoi blu” per facilitare l’ingresso di nuovi lavoratori, incentivare il rinnovo e la decarbonizzazione della flotta, aggiornare la strategia promossa dalla Commissione Europea per lo sviluppo sostenibile dell’economia blu (piano West Med) con regole basate su dati scientifici ed economici, rivedere il regolamento europeo sui controlli e le sanzioni. Una limitazione evidente viene dai giorni di pesca complessivi della flotta italiana che nel periodo 2008-2024, a seguito delle restrizioni, hanno subito una riduzione complessiva del 39%.
Bruxelles
Ma a preoccupare gli operatori nel lungo periodo è la nuova proposta di quadro finanziario pluriennale dell’Ue per il periodo 2028-2034 con la fusione decisa dalla Commissione europea del Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura (Emfaf) in un unico fondo che copre anche i fondi di coesione e di sviluppo rurale e che sarà gestito dai governi nazionali. Al di là della revisione strutturale, il bilancio della pesca si riduce da circa 6 miliardi di euro a 2 miliardi, secondo quanto hanno denunciato diversi rappresentanti del Parlamento Europeo. «Il taglio al bilancio è tanto ingiustificato quanto allarmante», ha affermato l’eurodeputata spagnola Carmen Crespo Díaz, del Partito Popolare Europeo (Ppe) e presidente della commissione per la pesca (Pech) del Parlamento. Una opinione condivisa dai rappresentanti del settore a livello nazionale e comunitario.
Le vongole
Un segnale di attenzione è venuto recentemente dall’Unione Europea che per i prossimi cinque anni ha concesso all’Italia la pesca di vongole dell’Adriatico da 22 millimetri, rispetto ai 25 millimetri del regolamento, misura che consente alle flotte nazionali di pescare molluschi più piccoli rispetto agli standard europei. Un via libera che salva un settore che conta 20mila tonnellate di pescato l’anno per un giro d’affari di 60 milioni di euro. La deroga tanto attesa è stata approvata a larga maggioranza dalla Commissione Pesca del Parlamento europeo. Il via libera, a partire dal 1° gennaio 2026 alla fine del 2030, non riguarda tutte le vongole, ma solamente i cosiddetti lupini di mare, che faticano a raggiungere la taglia commerciale rispetto alla verace filippina di allevamento, praticamente ormai annientata dal granchio blu.
«È una grande vittoria», ha commentato il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, sottolineando che l’Italia ha incassato 22 sì contro i 3 voti raccolti da chi si opponeva alla deroga. «Fattori ambientali italiani rallentano di molto la crescita della vongola», ha spiegato il ministro, «Consentire la pesca di questi molluschi più piccoli non mette a rischio la specie e la floridità dei nostri mari».
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