Sarà il primo Natale con pranzi e cenoni «firmati». Gli appuntamenti tradizionali, dalla Vigilia al Capodanno, ma anche gli incontri per gli auguri di fine anno con gli amici, i compagni di palestra o i colleghi di lavoro saranno quest’anno tutelati come patrimonio immateriale dell’umanità. La cucina italiana ha infatti appena ottenuto il riconoscimento dell’Unesco a Nuova Delhi, in India. Un traguardo atteso che è destinato a spingere la domanda di prodotti Made in Italy anche sulle tavole mondiali nonostante l’incognita degli Stati Uniti dove a pesare sono la politica dei dazi del presidente Donald Trump e il tasso di cambio sfavorevole.
Una situazione che comunque non impedirà all’Italia di far segnare un nuovo record nell’export agroalimentare superando a fine anno per la prima volta i 70 miliardi di euro secondo Nomisma, che sottolinea la crescita del 5,7% realizzata nei primi nove mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2024. Un record – se così sarà – trainato soprattutto dai mercati dell’Unione Europea (+9%), con ottime performance in Polonia (+17%), Romania (+11%), Repubblica Ceca (+9%) e Spagna (+15%). Meno brillante la crescita extra Ue (+4%), frenata dai cali registrati negli Stati Uniti (-1%), in Russia (-8%) e in Giappone (-13%).
Salta il tappo
Vini, spumanti, grappa e liquori, panettoni, formaggi, salumi e pasta Made in Italy non mancheranno dunque nei diversi continenti per le feste di fine anno e si stima che solo per il periodo di Natale 2025 e Capodanno 2026 si realizzerà complessivamente con l’export un fatturato di 5,7 miliardi, secondo la proiezione dell’Osservatorio Coldiretti su dati Istat del commercio estero relativa al mese di dicembre 2025. E per quanto riguarda il prodotto simbolo delle feste, le bollicine, secondo le previsioni faranno il botto soprattutto all’estero con circa 250 milioni di bottiglie ma anche in Italia salteranno 100 milioni di tappi.
I brindisi Made in Italy dominano nettamente a livello internazionale sorpassando lo champagne francese, che però riesce ancora a spuntare mediamente prezzi superiori. Andamento frizzante anche per i cocktail Made in Italy con la «tendenza Spritz» a base di prosecco che si è affermata in tutti i principali mercati, a partire dagli Usa. A festeggiare saranno i circa 600.000 ristoranti che si definiscono italiani nel mondo secondo le stime della Federazione Italiana Pubblici Esercizi (Fipe) con una spinta alla crescita ulteriore della cucina italiana che nel 2024 ha raggiunto a livello globale un valore complessivo di 251 miliardi di euro e una crescita del 4,5% su base annua secondo Deloitte. La cucina tricolore rappresenta il 19% del mercato globale dei ristoranti con servizio al tavolo (Full Service Restaurant) ed è particolarmente rilevante negli Stati Uniti e in Cina, che insieme coprono oltre il 65% dei consumi globali per la tavola italiana.

Sul successo tricolore pesa però il falso Made in Italy agroalimentare che nel mondo brucia 120 miliardi di euro e sottrae così risorse e opportunità di lavoro al Belpaese. Sulle tavole del Natale a livello globale ci sono ben due imitazioni per ogni prodotto originale Made in Italy. Il cosiddetto «Italian sounding» riguarda tutti i continenti e colpisce in misura diversa tutti i prodotti. Ma tra i must delle feste è certamente il Prosecco che è la bevanda più imitata nel mondo. Ne sono un esempio il Meer-secco, il Kressecco, il Semisecco, il Consecco e il Perisecco tedeschi, il Whitesecco austriaco, il Prosecco russo, il Calsecco Usa e il Crisecco della Moldova mentre in Brasile nella zona del Rio Grande si rivendica il diritto di continuare a usare la denominazione Prosecco per molti anni nell’ambito dell’accordo tra Unione Europea e Paesi del Mercosur.
Un rischio «tarocco» che non si corre nel nostro Paese, dove la difesa del Made in Italy a tavola sarà anche rafforzata dal disegno di legge sui reati agroalimentari, approvato senza voti contrari dal Senato, che rappresenta un passo storico per la protezione delle eccellenze nazionali. «L’aggiornamento del codice penale con un capo dedicato ai delitti contro il patrimonio agroalimentare rappresenta un progresso fondamentale per contrastare efficacemente le frodi nella filiera alimentare», afferma la Coldiretti nell’evidenziare il coraggio politico del ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, nell’aver sostenuto e concretizzato un ddl atteso da dieci anni, che riprende le proposte della cosiddetta legge Caselli, frutto del lavoro dell’Osservatorio Agromafie. Un motivo in più per festeggiare l’appuntamento culinario più importante dell’anno.

Per il pranzo o la cena di Natale quest’anno gli italiani spenderanno, in media, 64 euro, per una somma totale che arriva a 2,7 miliardi di euro. A questa spesa vanno aggiunti poi i cesti enogastronomici che negli ultimi anni, con la spinta verso i regali utili, sono diventati un must. Un dono particolarmente apprezzato e per tutte le tasche, con la possibilità di puntare su prodotti costosi, dal tartufo all’aceto balsamico di Modena, ma anche su tipicità meno note o magari su prodotti di largo consumo tipici delle festività, dalle lenticchie al cotechino. Tra le nuove tendenze i cesti a chilometri zero, sempre più gettonati dai consumatori, che aiutano a conoscere le realtà produttive del territorio da gustare in compagnia.
Tradizione
Più di otto italiani su dieci come tradizione si siederanno a tavola in casa propria o di parenti e amici, mentre il resto si dividerà tra ristoranti e agriturismi. Ad approfittare della ristorazione nazionale saranno anche i 4 milioni di turisti aeroportuali stranieri che tra dicembre e gennaio arriveranno in Italia, per una spesa complessiva pari a 3,5 miliardi di euro, secondo le stime Enit. Se lo spumante è una presenza imprescindibile è testa a testa tra il panettone e il pandoro, ma in circa la metà delle case quest’anno si preparano i dolci della tradizione locale. I costi di panettoni e pandori sono lievitati mediamente dell’8,1% rispetto al 2024, secondo l’Osservatorio Nazionale Federconsumatori.
E allora spazio al fai da te con le ricette locali. Il Flantze in Valle D’Aosta, il Crumbot in Piemonte, la Pinza in Veneto, lo Zelten in Trentino, il Panforte in Toscana, il Frustingo nelle Marche, il Pampepato in Umbria, il Pangiallo nel Lazio, il Parrozzo in Abruzzo, il Cippillati di Trivento in Molise, il Pabassinas in Sardegna, i Calzoncelli di pasta fritta con ripieno di mandorle e zucchero in Basilicata, la Gubana in Friuli, la Spongata in Emilia Romagna, il Pandolce in Liguria, il Panun de Natal in Lombardia o i Buccellati di Enna della Sicilia. Il panorama è ricco e non c’è regione che non metta in tavola le sue specialità.
Ma è l’intera tavola che si colora delle tipicità del territorio. Se nel menù della Vigilia si serve soprattutto il pesce, a Natale prevale la carne e vincono bolliti, arrosti e fritti, dall’agnello ai tacchini, ma anche minestre, zuppe, paste ripiene, cappelletti in brodo e pizze rustiche. Un trionfo di prelibatezze che rappresenta anche un sostegno importante per l’intera filiera agroalimentare allargata che ha raggiunto il valore di 707 miliardi di euro e rappresenta una delle principali ricchezze del Paese grazie ai primati ottenuti nella qualità e sostenibilità.
Avanzi
Ed è proprio all’insegna della sostenibilità l’invito che viene da più parti a tagliare gli sprechi che inevitabilmente si verificano in queste occasioni. I cuochi di Campagna Amica, ad esempio, hanno elaborato un vademecum in cui si spiega che polpette o polpettoni a base di carne o tartare di pesce sono ottime soluzioni per recuperare il cibo del giorno prima, ma anche le frittate possono dare un gusto nuovo ai piatti di verdura o di pasta, senza dimenticare la ratatouille. La frutta secca in più può essere facilmente caramellata per diventare un eccellente «torrone», mentre con quella fresca si ottengono pasticciate, marmellate o macedonie. E per dare un nuovo sapore ai dolci più tradizionali, come il pandoro o il panettone, si ricorre spesso alla farcitura con creme. Recuperare il cibo è una scelta che fa bene alle tasche e all’ambiente anche con una minore produzione di rifiuti.
Nel 2025 lo spreco alimentare in Italia è stato di oltre mezzo chilo a testa per settimana (555,8 grammi), secondo il rapporto dell’Osservatorio Waste Watcher International dal quale si evidenzia che la classifica è guidata dalla frutta, seguita da verdura fresca, pane, insalata e cipolle.
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