Nel decreto «Anticipi» approvato ieri dal Consiglio dei ministri entra anche la proroga per il 2025 delle misure incrementali dell’imposta di soggiorno. La novità principale è che il 30% del gettito extra sarà destinato al bilancio statale, con l’obiettivo di alimentare il fondo per l’inclusione delle persone con disabilità e quello dedicato all’assistenza ai minori.
Secondo le stime dell’Osservatorio nazionale sulla tassa di soggiorno di Jfc, il 2025 segnerà un nuovo record per gli incassi dell’imposta: 1,186 miliardi di euro, pari a un incremento del 15,8% rispetto al 2024 (quando il gettito era stato di 1,024 miliardi). L’aumento stimato, dunque, è di circa 162 milioni di euro.
Applicando la nuova regola, il 30% dell’incremento – circa 48,6 milioni di euro – finirà direttamente nelle casse dello Stato, mentre la parte restante resterà ai Comuni. Le prime stime di Jfc indicano inoltre che nel 2026, grazie a nuovi regolamenti, ampliamento dei periodi di applicazione e l’ingresso di altri Comuni, gli introiti potrebbero salire fino a 1,3 miliardi di euro.
Il gettito record riflette un’annata turistica da primato, con 458,4 milioni di presenze, in crescita del 2,5% sul 2023. A guidare la classifica degli incassi regionali è il Lazio, con oltre 300 milioni di euro, seguito da Toscana (122 milioni) e Lombardia (114 milioni). Tra le città, Roma svetta con 292 milioni (+61%), seguita da Firenze (76,5 milioni, +9,9%) e Milano (76,5 milioni, +23,2%), dove sono stati introdotti rincari fino al 40% in vista del Giubileo.
Nonostante la natura “di scopo” dell’imposta, solo meno del 20% del gettito viene effettivamente destinato a servizi turistici, secondo Confindustria Alberghi, che invoca un regolamento unitario nazionale per superare l’attuale frammentazione locale.
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Le banche
Una parte importante delle coperture della manovra arriverà invece da banche e assicurazioni, per un contributo complessivo stimato in 4,5 miliardi di euro, poco meno della dotazione aggiuntiva prevista per la sanità nel prossimo biennio (5 miliardi).
L’ipotesi prevalente al Mef è quella di un contributo concordato e distribuito su più anni, sul modello già sperimentato nel 2024, e non di una nuova tassa straordinaria. Il Comitato esecutivo dell’Abi, presieduto da Antonio Patuelli, ha infatti dato il via libera «all’unanimità a proseguire in via straordinaria nei contributi poliennali al Bilancio dello Stato, nella stessa logica concordata lo scorso anno».
Nel biennio 2025-2026 le banche anticiperanno oltre 4 miliardi di euro allo Stato, ricevendo in cambio la possibilità di compensare parte delle imposte differite (le cosiddette Dta). Lo schema, che ha garantito liquidità immediata ai conti pubblici, potrebbe essere replicato anche nel 2026, dunque allungando ed estendendo la spalmatura delle detrazioni d’imposta.
Sul fronte delle compagnie, il prelievo stabilito l’anno scorso – legato all’anticipo dell’imposta di bollo sulle polizze vita – vale circa 1,5 miliardi (2,5 miliardi secondo le compagnie) e rappresenta una misura che potrebbe anche stabilizzarsi, anche se il settore chiede di limitarla alle somme già maturate.
Tra le opzioni allo studio – emerse lunedì scorso ma sgradite alle banche – c’era anche una revisione della tassa sugli extraprofitti bancari introdotta nel 2023, con una riduzione dell’aliquota dal 40% al 26%. L’obiettivo sarebbe stato consentire agli istituti di liberare le riserve non distribuibili accantonate lo scorso anno (6,2 miliardi), garantendo allo stesso tempo un gettito immediato per l’erario. L’operazione, secondo le prime simulazioni, avrebbe potuto portare 1,6 miliardi (1,7 miliardi se l’aliquota fosse portata al 27,5%) di incasso diretto e circa 2,8 miliardi complessivi sommando le imposte sui dividendi distribuiti.
Il monito di Sileoni
Sul tema è intervenuto il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, che ha messo in guardia dall’uso improprio del termine “tassa”.
«Attenzione a usare la parola tassa per definire il contributo delle banche alla manovra, perché l’uso di questo termine potrebbe spaventare i mercati, come già accaduto purtroppo in passato», ha detto Sileoni durante la trasmissione ReStart su Rai Tre.
«Una nuova tassa potrebbe essere pagata dai correntisti in termini di aumenti delle commissioni. Meglio un accordo – ha aggiunto – che coinvolga anche altri settori economici, come le assicurazioni e il comparto energetico. La democrazia economica a senso unico non ha senso». Per Sileoni, il contributo «non deve essere una tassa, ma nemmeno un prestito», e la soluzione più equilibrata resta «un accordo che definisca la finalità delle risorse e progetti specifici».
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