Mancano due mesi e poi l’obbligo per l’assicurazione delle imprese contro i danni da catastrofi naturali sarà totale. Ma molti ritengono che cambierà poco o nulla. Le compagnie di assicurazione non forniscono dati, ma solo sussurri che rilanciano dalla bocca degli imprenditori: «L’obbligo imposto dalla legge di bilancio 2024 non prevede sanzioni, se non la preclusione ad alcune agevolazioni pubbliche. Ma io non chiederò mai agevolazioni, troppo complicato».
Il timore che lo stallo ci sia è alto. Prima che scattasse l’obbligo già il 96% delle grandi imprese avevano contratto una polizza contro i rischi da catastrofe naturale (terremoto o alluvione). Peccato che le grandi imprese (con più di 250 dipendenti) in Italia siano poco più di 4mila. Per loro il tempo limite per assicurarsi è scaduto il 31 marzo scorso. Dal primo ottobre l’obbligo è scattato per le medie imprese (sono considerate tali quelle che hanno più di 50 dipendenti, ma meno di 250 e un fatturato fino a 50 milioni di euro): in questo caso il test potrebbe essere significativo. Poco meno della metà di questa platea (composta da circa 24.500 aziende) risultava già assicurato. I primi dati dovrebbero esserci, ma c’è molto riserbo. Come detto la mancanza di sanzioni (se non l’esclusione da alcune agevolazioni) sembra non aver spinto gli indecisi alla decisione. Un costo certo aggiuntivo, contro una incerta opportunità.
Non è facile nemmeno definire un valore medio del premio: le variabili sono molte, la prima riguarda il territorio e la sua riconosciuta fragilità. Mentre per il rischio sismico ci sono mappe consolidate a cura dell’Ingv (l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia), per il rischio alluvioni, oltre al rischio idrogeologico «naturale» (documentato da analoghe mappe sulle frane attive) c’è una componente di pericolosità aggiuntiva che riguarda i contesti di urbanizzazione, cementificazione, pulizia degli alvei fluviali, eccetera.
Una incertezza che aggiunge dubbi soprattutto nel grande comparto delle piccole e piccolissime imprese: oltre 4,3 milioni di aziende. Solo il 6% risulta avere una assicurazione contro i rischi da catastrofi naturali. Per questo gruppo l’obbligo scatta dal primo gennaio 2026. In questo lasso di tempo molti si adoperano per rammentare i pericoli verso cui sono esposti i nostri territori.
Il gruppo Unipol ha presentato un paio di settimane fa un nuovo think tank – Natural Risk Forum (Nrf) – con l’obiettivo di lanciare una piattaforma di dialogo tra istituzioni, comunità scientifica e settore privato al fine di stimolare una riflessione ampia e strategica sui rischi catastrofali naturali e il loro impatto sociale, economico e produttivo sul Paese.
L’Italia è notoriamente tra i Paesi europei più esposti agli eventi naturali estremi: in tale contesto il Natural Risk Forum promuove una analisi sui modelli di governance più adatti ad affrontare le diverse fasi di gestione dei rischi – mappatura, prevenzione, emergenza e ricostruzione – con l’obiettivo di contribuire alla resilienza del tessuto sociale ed economico dei territori, alla riduzione dei danni e alla diffusione di una cultura del rischio.
Bastasse la forza dei numeri sarebbe facile convincere le imprese ad adottare una polizza assicurativa. L’indagine di Nrf ci dice che negli ultimi cinquant’anni si sono verificati circa 115 eventi catastrofali in Italia, pari a circa il 7% del totale europeo, ma con danni diretti che raggiungono i 253 miliardi di euro, ovvero oltre il 30% del totale europeo. Questa sproporzione – tra numero di eventi e la relativa distruttività – è dovuta al particolare profilo di rischio del nostro Paese, dove i terremoti (l’Italia è seconda in Europa per frequenza dopo la Grecia) rappresentano il 68% dei danni complessivi. Il quadro territoriale conferma un’esposizione diffusa: il 95% dei Comuni è soggetto a rischio idrogeologico, il 35% della popolazione vive in aree a elevata pericolosità sismica e un ulteriore terzo in zone a rischio medio.
Inoltre, quasi un quarto del territorio nazionale (23%) risulta esposto al rischio di frane. Questi dati collocano l’Italia al primo posto in Europa per ammontare dei danni diretti registrati negli ultimi 50 anni.
L’analisi proposta da Nrf si è spinta a dipingere scenari futuri per stimolare intorno al valore della prevenzione. Lo studio sostiene che ogni euro investito in prevenzione genera un ritorno di circa 11 euro. Nei prossimi cinquant’anni – in uno scenario inerziale, privo di interventi aggiuntivi in prevenzione – si stima la contabilizzazione di danni diretti per circa 343 miliardi di euro e danni indiretti per ulteriori 247 miliardi. Il danno totale attualizzato risulterebbe pari a 590 miliardi di euro.
Se invece si dovesse iniziare a investire in prevenzione – in uno scenario che prevede 5 miliardi di euro annui di investimenti in prevenzione per i prossimi cinque anni – il risparmio potenziale sui danni complessivi risulterebbe pari a 246 miliardi di euro. In altri termini, ecco la magica proporzione della convenienza: un euro investito in prevenzione genera un ritorno di circa 11 euro in termini di minori costi per la collettività.
Basterà questa immersione nelle analisi e nello studio del rischio per convincere i più riottosi ad assicurarsi? La sensazione è che, senza una sanzione economica diretta, in Italia finirà ancora per prevalere la cultura della non assicurazione. Nonostante l’obbligo formale.
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