La bolla dell’intelligenza artificiale rischia di travolgere anche le start up dell’energia. L’afflusso massiccio di capitali verso un numero ristretto di nuove società specializzate nel settore nucleare modulare e dello stoccaggio – spesso con modelli di business ancora non sostenibili – sta alimentando dinamiche speculative già note nel mondo tecnologico. Valutazioni fuori scala, round sovradimensionati e Ipo anticipate ricordano i meccanismi della bolla dot.com dei primi anni Duemila. L’effetto collaterale più serio potrebbe non essere solo la bolla stessa, ma anche il vuoto che lascia intorno: i capitali sottratti a progetti di lungo termine, come quelli energetici e climatici, che richiedono tempi di maturazione molto più lunghi.
L’intelligenza artificiale, affamata di energia per addestrare i modelli, sta spingendo verso l’alto la domanda globale di elettricità. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, entro il 2026 i data center IA consumeranno il 4% della produzione elettrica mondiale, ovvero più dell’intera Germania.
Questo sta però generando un effetto domino: mentre le start up energetiche faticano a trovare fondi, le big tech (Google, Amazon, Microsoft) investono direttamente in centrali nucleari modulari e rinnovabili per alimentare i propri data center, sottraendo ulteriormente spazio competitivo alle startup più piccole. Non solo. Se la bolla dell’IA dovesse scoppiare con un crash improvviso, si assisterebbe a un ritiro generalizzato del capitale di rischio, che travolgerebbe anche le start up energetiche ancora dipendenti da round privati per la sopravvivenza.
Le start up
Come ha rilevato il Wall Street Journal, un gruppo di nuove società che ancora non generano alcun tipo di reddito hanno visto crescere complessivamente il loro valore fino a oltre 45 miliardi di dollari, nella speranza che un giorno le aziende tecnologiche pagheranno per le loro centrali elettriche ancora da costruire. La più grande di queste è la start up nucleare Oklo, sostenuta dal ceo di OpenAI, Sam Altman: le sue azioni sono aumentate di circa otto volte da inizio anno e ha ora una capitalizzazione di mercato di circa 26 miliardi di dollari, il che la rende la più grande società quotata a Wall Street a non aver generato alcun fatturato negli ultimi 12 mesi (e gli analisti non prevedono che ne genererà prima del 2028). Oklo sta sviluppando piccoli reattori nucleari modulari che utilizzano un refrigerante non acquoso – il sodio metallico liquido – e un combustibile all’uranio arricchito la cui disponibilità è limitata ma non ha ancora ottenuto la licenza dalla Nuclear Regulatory Commission statunitense né contratti vincolanti con gli acquirenti di energia.
Fermi
Un’altra azienda a zero entrate è Fermi, che quando ha debuttato in Borsa è stata valutata circa 19 miliardi di dollari: è sponsorizzata dall’ex segretario all’Energia, Rick Perry, e guidata da Toby Neugebauer, ex amministratore delegato della fallita GloriFi. Ha in programma di sviluppare 11 gigawatt di energia per i data center, all’incirca la capacità del New Mexico. Fermi prevede di raggiungere l’obiettivo di 11 GW utilizzando gas naturale, nucleare, solare e batterie, ma finora si è assicurata apparecchiature a gas naturale che coprirebbero solo il 5% del suo obiettivo di capacità totale. E non ha ancora stipulato contratti vincolanti con i clienti.
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Anche le aziende che sviluppano reattori nucleari «micro-modulari» ancora più piccoli stanno registrando una capitalizzazione di mercato elevata, nonostante la mancanza di fatturato: tra queste c’è la Nano Nuclear, il cui valore è più che raddoppiato quest’anno a oltre 2 miliardi di dollari, e Terra Innovatum, valutata già più di 1 miliardo di dollari.
Nel frattempo, società che hanno un minimo di business, come NuScale Power o Plug Power, hanno registrato rally spettacolari in Borsa: +155% la prima, +90% la seconda. Ma nessuna delle due dovrebbe generare utili prima del 2030. Poi c’è Bloom Energy, società che produce celle a combustibile e che è arrivata a essere scambiata a 133 volte gli utili futuri dopo un incremento del 400% dall’inizio dell’anno. Non solo. Ha aggiunto 5,4 miliardi di dollari alla sua capitalizzazione in una sola giornata, dopo che Brookfield Asset Management ha annunciato un investimento fino a 5 miliardi per adottarne la tecnologia. Anche Centrus Energy, attiva nei combustibili nucleari, viaggia su moltiplicatori da capogiro: 99 volte gli utili previsti. La dinamica è simile a quello che abbiamo visto ai tempi di un’altra grande bolla quando bastava aggiungere «.com» al nome di un’azienda per moltiplicarne il valore; oggi basta pronunciare «IA» o «data center».
Sullo sfondo resta la corsa delle big tech impegnate nello sviluppo dell’IA che hanno bisogno di energia, e in abbondanza. Dunque, di adeguate e moderne infrastrutture. Da qui nasce il paradosso: l’intelligenza artificiale ha bisogno di nuova energia per crescere ma se questa energia diventa a sua volta oggetto di una bolla, il rischio è che l’intera filiera, dai chip ai reattori, dai data center ai fondi d’investimento, vada in crash.
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