Non solo il Ponte sullo Stretto. Molte grandi opere sono ancora impantanate tra tribunali, visti contabili e ricorsi ambientali. Certo, c’è una buona notizia: nel 2024 le incompiute censite sono scese a 246, venti in meno rispetto al 2023. Il segnale positivo non basta, però, a cancellare la fotografia di un Paese ancora segnato da progetti lasciati a metà e da miliardi di euro immobilizzati. Le cause più frequenti riguardano la complessità procedurale (autorizzazioni ambientali, VIA/VIncA), i contenziosi locali (comitati di cittadini, opposizioni), varianti progettuali, mancanza o ritardo di finanziamento, contenziosi legali.
Asfalto
Prendiamo la Tav Torino-Lione, ovvero la linea ferroviaria ad alta velocità fra Italia e Francia: il “cantiere del secolo” si chiuderà tra otto anni. Ad oggi su 160 chilometri di gallerie da scavare ne sono stati realizzati 45, circa il 28% del lavoro. Il prossimo passo sarà l’aggiudicazione dell’appalto degli impianti tecnologici, nel 2027, per poi procedere al completamento dell’opera che verrà messa in esercizio nel 2033.
Poi ci sono le grandi dorsali del centro Italia che restano impantanate nei ricorsi. L’autostrada Roma–Latina e la bretella Cisterna–Valmontone, dopo più di dieci anni di battaglie legali, sono tornate a gara nel maggio 2025. L’A12 Rosignano–Civitavecchia (Tirrenica), invece, è ancora un mosaico di varianti ambientali e giudizi amministrativi. Il progetto è frammentato in lotti, con competenze divise tra MIT, Regioni e Ministero dell’Ambiente.
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A Genova, la Nuova Diga Foranea, infrastruttura cruciale per lo sviluppo del porto, è finalmente partita dopo che il Consiglio di Stato nel luglio 2024 ha ribaltato la sentenza del TAR. Il cantiere è oggi operativo, anche se i costi hanno superato i 1,3 miliardi. A Firenze, invece, il progetto della nuova pista dell’aeroporto di Peretola ha ottenuto a settembre 2025 una VIA positiva con 13 prescrizioni. I Comuni di Sesto Fiorentino e Campi Bisenzio hanno annunciato nuovi ricorsi, riaprendo una ferita giudiziaria che dura dal 2019.
Spostiamoci nel Lazio. Il progetto del termovalorizzatore di Santa Palomba, bandiera del sindaco Gualtieri, ha superato i ricorsi al TAR e al Consiglio di Stato, ma resta sotto attacco politico e civile. Le prime opere propedeutiche sono partite, mentre associazioni ambientaliste annunciano un nuovo esposto alla Commissione Europea. Il cantiere vero e proprio dovrebbe aprire nel 2026, salvo ulteriori stop.
Secondo l’analisi del Centro Studi Enti Locali, la riduzione rispetto al 2023 è pari al 7,5%. Il valore complessivo degli interventi si attesta a circa 1,6 miliardi di euro, mentre gli oneri per il completamento ammontano a poco meno di 1,1 miliardi, in calo del 3,4%. Numeri che confermano una tendenza alla contrazione, ma che rivelano anche quanto sia ancora pesante il costo di strutture mai entrate in funzione. Il fenomeno rimane fortemente sbilanciato sul Mezzogiorno e le Isole. Qui si concentrano 157 cantieri fermi, pari al 63,8% del totale nazionale, con un fabbisogno stimato di 578 milioni. Nel Centro Italia le opere incompiute sono 44.
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mentre al Nord se ne contano 40. Particolare il caso delle amministrazioni centrali: appena cinque opere sospese ma con un impatto economico enorme, oltre 407 milioni di euro, cioè il 38,1% del fabbisogno complessivo.
Il decreto Infrastrutture 2025, varato dal governo a fine estate, prova a rimettere ordine nel labirinto dei commissari straordinari, ma le cause giudiziarie e le verifiche della Corte dei conti continuano a pesare come zavorre. Al netto delle singole vicende, la fotografia che emerge è quella di un sistema ingessato: troppi centri decisionali, troppi ricorsi, troppi visti. Oggi un progetto strategico deve passare da più di 50 atti autorizzativi prima della posa della prima pietra. Anche un semplice rilievo contabile può bloccare anni di lavoro.
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