Il mercato del lavoro in Italia continua a segnare piccoli e grandi record. I dati Istat di settembre certificano un ulteriore aumento degli occupati (+67mila unità sul mese precedente, cioè +0,3%): siamo arrivati a un totale di 24 milioni 221mila, in crescita rispetto al mese precedente. Aumentano i dipendenti permanenti (16.551.000), calano quelli a termine (2.466.000) e risultano sostanzialmente stabili gli autonomi (5.204.000). Crescono tutte le classi d’età a eccezione dei 35-49enni che risultano in diminuzione. Eppure, potrebbe andare persino meglio. Infatti, in Italia crollano le assunzioni agevolate. In particolare, secondo gli ultimi dati forniti dall’Inps, tra il primo semestre del 2024 e il periodo speculare del 2025, il calo è addirittura del 68%, mentre era stato solo dell’1,7% tra il 2023 e il 2024. La sintesi viene fornita da Zeta Service, realtà italiana leader nella consulenza e servizi Hr e payroll. La variazione pesantemente negativa del primo semestre del 2025 ha comportato anche una marcata diminuzione della quota delle agevolazioni sul totale delle attivazioni, scesa all’8,1% (cioè le agevolazioni vengono attivate solo per 8 assunzioni su 100) rispetto allo stesso periodo del biennio 2023-2024, quando la percentuale superava il 25%, comunque relativamente bassa.
Per incrementare l’accesso a queste misure, sostiene Ivan Moretti, co-ceo di Zeta Service, occorre agire sui responsabili della funzione risorse umane, affinché conoscano meglio le opportunità che ci sono e le sappiano applicare: «Questa dello scarso tasso di take-up è una situazione che si ripropone non solo in Italia, ma anche a livello globale, anche se generalmente, per quanto attiene alla nostra conoscenza del settore, in maniera meno incisiva che alle nostre latitudini».
Risorse umane
Aggiunge Moretti: «Per il direttore Hr in azienda, sapersi muovere tra gli incentivi rappresenta uno strumento di governo ma anche di credibilità interna, nei confronti dei massimi vertici aziendali. Non è, questo, un elemento da sottovalutare, perché offre infatti una visione completa e integrata dei costi del personale, permette di verificare la conformità normativa e di presentare al cfo scenari economici concreti, basati su dati oggettivi, garantendo risparmi immediati». Si stima che lo sgravio contributivo per l’azienda sia di 5.000-6.000 euro per ogni lavoratore «agevolato».
Al ministero del Lavoro si ritiene che il brusco calo di adesione agli incentivi per le assunzioni non sia da attribuirsi a una inadeguata informazione – «I consulenti del lavoro e i commercialisti che seguono le imprese, comprese le Pmi, sanno tutto e in tempo reale» – quanto piuttosto a un imprevisto choc burocratico, determinato da un rallentamento impresso dai controlli in sede di Commissione europea.
Gli incentivi nati dal decreto Coesione utilizzano le risorse finanziate dall’Europa e quindi devono sottoporsi alle valutazioni di Bruxelles per fugare sempre i rischi di poter essere definiti come aiuti di Stato. Peccato che i tempi di verifica delle norme quest’anno siano stati particolarmente lunghi. Fino al 2024 queste lentezze erano recuperate in sede europea dal cosiddetto tempo di framework, un escamotage adottato durante il Covid e ribadito all’inizio della guerra in Ucraina. Cioè il tempo si fermava nel momento in cui la norma statale veniva sottoposta al vaglio della Commissione, assicurando la retroattività: gli incentivi c’erano comunque, al massimo un po’ in ritardo.
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Da quest’anno, nonostante il perdurare del conflitto in Ucraina, la Commissione Ue ha deciso di abolire il tempo di framework, per cui di fatto si è perso l’intero primo semestre del 2025 in attesa della definizione delle norme, in sede Ue, per poi poter scrivere il decreto attuativo in sede ministeriale, fino alla circolare di competenza Inps. Il tutto si è concluso a fine maggio. Le imprese hanno potuto studiare le opportunità nel corso dell’estate per vararle solo nel secondo semestre dell’anno. Un disincentivo all’incentivo. Non solo. Questo iter si è concluso solo per due delle categorie incentivate: assunzioni per giovani e donne. Ma il pacchetto degli incentivi comprendeva all’inizio anche le categorie dei settori strategici (di fatto le agevolazioni alle assunzioni per le startup) e dell’area Zes/Sud. In questi due ambiti, a fine anno, non è stata ancora definita la circolare Inps, di fatto impedendo alle imprese di attrezzarsi per beneficiare del bonus assunzioni.
Incertezza
La prossima legge di Bilancio si è assunta l’onore di ripristinare le norme, cercando di individuare delle corsie privilegiate di approvazione dei decreti attuativi e per evitare le complessità burocratiche di Bruxelles. Ma per il 2025 è andata come è andata. Cioè male per i bonus, bene il mercato del lavoro: «Le imprese che vogliono assumere», si sostiene al ministero, «hanno dimostrato di farlo anche nella incertezza delle agevolazioni. E questo è un buon segnale del mercato».
Certo è che si ripresenta, sul fronte imprese, il problema del «non take up» che è da anni evidente sul fronte delle opportunità mancate per i lavoratori. Si stima – secondo uno dei soggetti più attivi in questo mercato, la società Bonoos – che i lavoratori non riescano a consumare 1.000-1.200 euro di bonus cui avrebbero diritto, in questo caso per un gap di conoscenza e di informazione. Matura l’attenzione degli Hr manager per il take-up dei bonus pubblici in favore dei dipendenti che sono sempre più spesso inclusi nei piani di welfare aziendale. Dopo i «public benefit» (per i lavoratori) sta esplodendo l’attenzione per i «business benefit», come si potrebbero ribattezzare quelli che fanno bene all’impresa, al lavoro e quindi, ancora una volta, ai lavoratori.
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