Non più fabbrica a basso costo del mondo, ma gigante di risorse economiche e tecnologiche, capace di fare da monopolio infrastrutturale per le imprese europee che esportano nel Dragone. È la nuova Cina incarnata dal colosso Alibaba, multinazionale del commercio elettronico con sede a Hangzhou, fondata da Jack Ma nel 1999. Alibaba come quello dei quaranta ladroni, da lì arriva il nome scelto dal suo fondatore perché, così dice lui, «apre il sesamo alle piccole imprese». E in effetti questo dicono i dati del Rapporto Sda Bocconi commissionato dal gigante: nel 2024 le imprese italiane hanno venduto prodotti per 5,19 miliardi di euro ai consumatori cinesi sulle piattaforme Taobao e Tmall, un risultato in linea con le cifre del 2022 e 2023 (5,012 e 4,713).
Peccato che, inserito nel quadro economico generale, questo risultato appaia poca cosa, dato che in sei anni il disavanzo commerciale tra Italia e Cina è più che raddoppiato: siamo passati da -18,7 miliardi di euro nel 2019 a -43 miliardi nel 2025, come certificano i dati di Unimpresa illustrati nell’infografica qui accanto. Il surplus cinese verso il nostro Paese è concentrato soprattutto nel comparto chimico (8,1 miliardi), in quello elettronico e ottico (7,5 miliardi), negli apparecchi elettrici (6 miliardi) e nei macchinari (6 miliardi).
«Da un lato, la possibilità per le imprese italiane di utilizzare le piattaforme digitali facilita nell’immediato l’accesso ai mercati, con ricadute positive in termini di profitti», spiega Stefano Colombo, professore ordinario di Economia politica all’Università Cattolica del Sacro Cuore. «Tuttavia, occorre tenere presente che il rapporto tra le imprese e la piattaforma digitale tende sempre più a configurarsi come il rapporto tra produttori e rivenditore, dove il rivenditore ha potere di (quasi) monopolio sul mercato a valle», precisa. Il crescente impiego della piattaforma digitale da parte delle imprese «accresce il mercato a valle» il che, è verosimile, porterà nel medio-lungo periodo all’«erosione dei profitti delle imprese a monte» chiarisce il professore.
Ma il nodo più delicato riguarda la quantità di dati che le grandi piattaforme cinesi raccolgono dai consumatori dell’Unione europea. Un flusso informativo enorme e raffinato, reso possibile dall’integrazione di sistemi di intelligenza artificiale all’avanguardia, che lascia perplessi alla luce di quanto stabilito dall’ordinamento cinese: Pechino dispone infatti di un quadro normativo che può imporre alle aziende di cooperare con le autorità statali, anche con la richiesta di accesso alle informazioni. Nel gennaio di quest’anno l’associazione per la protezione dei dati dei cittadini Ue Noyb ha presentato dei reclami contro TikTok, Aliexpress, Shein, WeChat e Xiaomi per presunti trasferimenti illeciti di dati verso la Cina. Secondo il diritto europeo i trasferimenti di dati fuori dall’Ue sono permessi solo se il Paese in cui vanno a finire non compromette la loro protezione. «In un mercato delle piattaforme competitivo, il fatto che queste dispongano di una maggiore capacità di profilazione dei consumatori potrebbe determinare una maggiore concorrenzialità sul mercato, quindi prezzi più bassi, con conseguente vantaggio per i consumatori» spiega il professor Colombo. Tuttavia se il mercato delle piattaforme è scarsamente competitivo, «come in effetti è», vale esattamente il contrario: «Più sono le informazioni sui consumatori di cui la piattaforma dispone più può estrarre surplus dai consumatori facendo prezzi più alti, dal momento che conosce in modo sempre più preciso la propensione a spendere dei consumatori stessi».
Nell’ottobre del 2023 i servizi segreti del Belgio hanno tenuto d’occhio il principale polo logistico di Alibaba a Liegi, per il sospetto – al momento rimasto tale – che Pechino stia sfruttando le sedi dell’azienda in Europa per accrescere il proprio potere economico in Occidente. Alibaba ha negato ogni illecito. Nel 2018 il gruppo è approdato in Belgio per aprire a Liegi uno degli hub più grandi d’Europa per gestire la propria attività logistica nel Vecchio Continente. Secondo i sospetti dei servizi segreti, la Cina potrebbe avere la capacità di utilizzare i dati raccolti dagli acquisti su Alibaba per scopi non commerciali. A Liegi vengono gestite principalmente le merci vendute ai consumatori europei tramite AliExpress, la piattaforma B2C del colosso. Di un mese fa è la notizia – riportata dal Financial Times – che secondo una nota della Casa Bianca (non verificata) la multinazionale avrebbe fornito alle forze armate cinesi l’accesso ai dati personali dei clienti e per sostenere le operazioni militari della Repubblica Popolare. L’azienda ha respinto e negato tutte le accuse.
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