Il cavallo di Troia del riciclaggio e del narcotraffico o strumento di libertà per evitare di essere «tracciati»? L’emendamento Fdi alla Finanziaria (poi ritirato) che prevede l’innalzamento della soglia per i pagamenti cash da 5mila a 10mila euro (con un bollo da 500) riapre il dibattito politico.
Il tetto alle banconote è considerato una misura di contrasto al riciclaggio, materia su cui l’Italia detta legge e regole in Europa sin dal 1991. L’economia sommersa è stimata in 190 miliardi l’anno. Non a caso il Parlamento europeo per guidare l’Agenzia europea contro il money laundering Amla ha scelto come numero uno l’italiana Bruna Szego, che durante la sua lunga carriera in Bankitalia è diventata capo dell’Unità responsabile della normativa e della supervisione sull’antiriciclaggio e il contrasto al finanziamento del terrorismo. Ma per combattere sottrae risorse al Fisco servirebbe una norma comune. Così non è: in molti Paesi occidentali, dagli Stati Uniti al Regno Unito, non ci sono limiti. Cash is king, dice spesso Sylvester Stallone alias Dwight Manfredi, il gangster della ficton Tulsa King. In molti Paesi europei non esistono limiti: in Paesi Bassi, Austria, Irlanda, Finlandia, Svezia, Ungheria, Estonia, Cipro, Lussemburgo e Germania è possibile pagare cash anche un appartamento, tanto che la ’ndrangheta – l’organizzazione criminale monopolista nel narcotraffico – compra in contanti pezzi di Germania e Paesi dell’Est tra case e terreni. Gli spalloni, anziché in Svizzera, è lì che portano il contante. Romania (2.000 euro), Francia con 1.000 come la Spagna (dove secondo Nicola Gratteri giacciono la maggior parte delle banconote da 500 euro) e Grecia (500 euro) hanno limiti stringenti. Va meglio in Danimarca con 2.700 di tetto, Lituania, Belgio e Portogallo (con 3.000), Polonia (3.300) e infine Bulgaria, Slovacchia e Slovenia con 5.000. Fuori quota Lettonia (7.200) Repubblica Ceca e Malta (10.000 con qualche limitazione) e infine Croazia con 15.000 euro. Difficile armonizzarle entro il 2027, quando Amla diventerà operativa.
C’è un legame contante/riciclaggio? Secondo l’esperto di finanza internazionale e risk management Massimo Ferracci «un recente studio dell’Uif ne dimostra la correlazione», ma prima bisogna fare una distinzione: «Il traffico di stupefacenti, tra le maggiori fonti di ricavi illeciti in Europa, è ancora un mercato ad alta intensità di contante, così il traffico di migranti – sottolinea Ferracci – Il trasporto di banconote di grosso taglio (200 euro o 500 euro – non più stampati dal gennaio 2019) è ancora il modo prediletto di trafficanti per trasferire fuori dall’Europa i proventi criminali di stupefacenti, corruzione, scommesse, sfruttamento del lavoro e della prostituzione». In Italia invece «il contante è la benzina dell’evasione di piccolo taglio» ma è anche «carburante per gli schemi più complessi, come le false fatturazioni». Lo abbiamo visto in inchieste come AEmilia o Martingala, con «società cartiere di fatture false, le imprese beneficiarie si fanno pagare con bonifico e poi restituiscono la somma in contante con la commissione».
Una volta il «nero» restava nero, serviva per corrompere politici, inquirenti o imprenditori. Oggi invece ci sono forme più sottili per far «rientrare» il cash. A Milano e al Centro-Nord aumentano gli esercizi ad alta densità di contante che servono solo a simulare transazioni, «inventando» scontrini di tanto in tanto. Pompe di benzina, edicole, compro oro ma anche farmacie, ristoranti, pizzerie e locali di finger food sono sempre più spesso in mano a calabresi, campani, siciliani o cinesi. Sono attività che fanno «invasione fiscale», simulando più incassi di quelli reali. Anche grazie alla fatturazione elettronica non è più l’Iva ma l’Irpef l’imposta più evasa.
Ormai da noi i pagamenti «tracciabili» dopo il Covid hanno preso piede. Colpa anche di strategie autolesioniste come la «lotteria degli scontrini» che hanno solo ingrassato le banche: l’anno scorso con 481 miliardi di euro e un +8,5% sul 2023 hanno superato il contante, 43% a 41%. Il restante 16% se lo sono divisi bonifici, addebiti in conto corrente e i cari, vecchi assegni. Le transazioni contactless sono quasi il 90%, con un controvalore di 291 miliardi (+19%). Più del 12% sono ormai i cosiddetti pagamenti «innovativi», fatti con il cellulare (pari a 56,7 miliardi di euro, +53%) e il cosiddetto buy now pay later senza interessi che vale 6,8 miliardi di euro (+46% sul 2023) secondo i dati dell’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano, senza contare le varie piattaforme di pagamento come Paypal e Satispay ormai diffuse quasi dappertutto.
Il contante domina nelle fasce d’età più alte e in bar, mercati ambulanti e tabaccherie, tanto che ancora oggi c’è chi pretende i contanti per pagare le sigarette, considerato prodotto «tracciato» a monte, con una giurisprudenza a loro favorevole. Le commissioni bancarie sono più alte dei margini risicatissimi su tabacco e biglietti del tram. Alle banche il contante costa 10 miliardi ma di rinunciare alle commissioni non se ne parla. D’altronde, ci sono almeno 14 milioni di persone fuori dai circuiti bancari – perché nei guai per debiti o perché non si fidano – che utilizzano solo il cash. Se persino il governatore di Bankitalia Fabio Panetta teorizza l’approccio duale contante-digitale in nome della libertà di scelta, è pacifico che l’accostamento che fa la sinistra sul contante «strumento per il riciclaggio» è strumentale. C’è chi sostiene che «rimettere i contanti in circolazione» possa «dare respiro all’economia e stimolare i consumi» come il professore di Diritto tributario Giuseppe Melis della Luiss Guido Carli, secondo cui «il limite ai pagamenti è una forma di deterrenza al reimpiego del contante che già circolava in nero», stimato in almeno 150 miliardi e oggi fermo.
A volte il riciclaggio si fa anche con le transazioni teoricamente tracciabili. Ci sono esercenti che comprano sigarette e le vendono sottocosto a tabaccai «amici», riciclando in un batter d’occhio migliaia di euro: l’Erario ci guadagna, loro pure. Proprio i locali ad alta circolazione di cash in odore di mafia non disdegnano chi paga con la carta. Quando facciamo una ricarica telefonica o paghiamo una bolletta, associamo il pagamento digitale alla spesa. Ma grazie all’obbligo di collegamento diretto tra i Pos e i registratori di cassa, troppo spesso aggirato, si è dimostrato come sempre più spesso i soldi pagati con carta o bancomat «giustifichino» altre transazioni fasulle, mentre a pagare fisicamente i nostri acquisti è il cash che dal narcotraffico finisce nei registratori di cassa. Come ha denunciato il comandante generale della Gdf Andrea De Gennaro in Parlamento, alcuni esercenti farebbero confluire i flussi finanziari su conti correnti esteri «di appoggio». E spesso questo giochino si fa con le piccole somme, non con le transazioni monstre sopra i 5.000 euro, oggetto delle famose Segnalazioni di operazione sospette oltraggiate da un uso distorto, vedi lo scandalo dossieraggi .
La sensazione è che demonizzare il contante renda la vita difficile solo agli anziani, giustamente allergici a forme di pagamento virtuale che spesso innescano pericolosi sovraindebitamenti, cresciuti pericolosamente proprio nei Paesi che hanno spinto il cashless come la Finlandia. Non sarà un tetto al contante a sconfiggere le mafie. Persino la droga ormai si paga online, con sistemi di pagamento anonimi sotto soglia che vedono l’incrocio di domanda e offerta sulle chat Telegram, come ha dimostrato un’inchiesta del Giornale di qualche anno fa.
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