La “scossa” elettrica resta sempre al centro della politica ambientale europea legata alla mobilità. E chi confidava sulla piena apertura alla neutralità tecnologica, cioè l’utilizzo senza vincoli delle alimentazioni endotermiche di ultima generazione con il largo ricorso ai biocarburanti e a quelli sintetici, deve nuovamente prepararsi a dare battaglia in vista dei passaggi decisivi del “Pacco Ursula” all’Europarlamento e soprattutto al Consiglio Ue. È vero che è stato cancellato lo stop alla produzione e vendita di veicoli endotermici dal 2035, lasciando in quel caso campo libero alle sole vetture 100% elettriche, ma se si va a fondo della questione balza all’occhio il contentino fatto passare come una vera rivoluzione: la riduzione delle emissioni del 90% (al posto del 100%), rispetto ai livelli del 2021, vuol dire dover compensare il restante 10% mediante l’uso di acciaio “verde” e carburanti rinnovabili prodotti nell’Ue.
Significa che, rimanendo così le cose, a farla da padrone saranno sempre e comunque le trazioni elettriche 100%. Ma l’ideologia e la noncuranza della realtà da parte della presidente Ursula von der Leyen e di chi ha sottoscritto il “pacco” vanno ben oltre.
Bruxelles, infatti, ha stabilito di finanziare con 1,8 miliardi lo sviluppo della produzione di batterie sul territorio dell’Unione. Ecco rispuntare, dunque, in modo palese la “fissa” dell’elettrico a tutti costi. «Sebbene rilevante – commenta Andrea Taschini, advisor e manager automotive – lo stanziamento non deve comunque trarre in inganno. In realtà, infatti, gli investimenti necessari per le gigafactory sono di ben più ampia portata. Voglio solo qui ricordare, per esempio, che il progetto Northvolt, sfociato in un Chapter 11 solo pochi mesi fa, ha generato un disavanzo finanziario di 5,8 miliardi e, specularmente, il progetto mai concretizzato di Britishvolt prevedeva un investimento iniziale di 3,8 miliardi di sterline. Oltre a ciò, sovvenzionare investimenti miliardari in gigafactory in Europa non significa avere la capacità di aggirare il problema maggiore, ovvero l’approvvigionamento di materie prime che, come è ben noto, sono saldamente in pugno alla Cina e che difficilmente Pechino concederà agli europei per competere contro il loro stesso monopolio».
È Franco Del Manso, responsabile del Dipartimento rapporti internazionali, ambientali e tecnici di Unem (Unione nazionale energie per la mobilità), uno dei massimi esperti sui temi in questione, a stroncare sul nascere il piano batterie made in Europe. «Non esiste alcuna possibilità – afferma – che in Europa si possano produrre batterie con materie prime locali (cobalto, litio, manganese, ferro, terre rare), le stesse che sono di importazione soprattutto cinese. Al massimo – spiega Del Manso – sarà possibile procedere a un assemblaggio di componenti prodotti tutti in Cina. Quelli annunciati da Bruxelles sono fondi utilizzati malissimo. La speranza continua a essere quella di costituire una filiera europea, ma sia le materie prime vergini sia l’intero riciclaggio sono tutti in mano al Paese asiatico. Il processo di raffinazione che porta alla materia prima, inoltre, risulta altamente energy intensive e inquinante. Al momento, per un buon 70-80% la capacità di questi processi è presente solo in Cina, anche se qualcosa del genere esiste in America e in altri Paesi, ma a dominare resta sempre Pechino. Non dimentichiamo anche che da loro non esistono tutti quei controlli ambientali sviluppati qui in Europa».
Nei piani di Bruxelles l’iniziativa battezzata “Battery Buster” da 1,8 miliardi dovrebbe consentire lo sviluppo accelerato di una filiera ad hoc interamente realizzata entro i confini dell’Ue grazie alla disponibilità di prestiti senza interesse e altre misure di incoraggiamento affinché le aziende entrino in questo business.
Direttamente collegata all’illusione di scimmiottare la Cina nella produzione delle batterie, ecco l’introduzione della nuova categoria di veicoli nell’ambito dell’iniziativa “Small Affordable Cars” che punta a diffondere il più possibile piccole auto elettriche, con una lunghezza entro i 4,2 metri, ed economiche. Il vicepresidente esecutivo Ue nonché commissario per la Prosperità e la Strategia industriale, Stéphane Séjourné, è convinto che tale “pacchetto” incluso nel “Pacco Ursula”, «rappresenterà un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea». «Stiamo infatti utilizzando – la sua precisazione – tutte le leve a nostra disposizione tra semplificazione, flessibilità, preferenza europea, sostegno mirato e innovazione».
Ma anche in questo caso, Bruxelles non ha fatto i conti con l’oste. A intervenire è ancora l’advisor Taschini: «La Cina è imbattibile anche qui visto che già da tempo produce quel tipo di vetture con prezzi al mercato intorno a 5mila euro, oggettivamente un ammontare impossibile con cui competere. Ancora una volta l’Ue si illude di poter risolvere un problema che lei stessa ha generato con palliativi privi di qualsiasi efficacia».
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