Il passo resta cauto, ma la caduta sembra alle spalle. L’industria calzaturiera italiana si appresta a chiudere il 2025 con il segno meno, ma a volume ridotto: il fatturato atteso si aggira intorno a 12,8 miliardi di euro, in calo del 3,1% sul 2024. Un arretramento che pesa, ma che racconta anche un cambio di ritmo. Dopo una prima parte d’anno in salita, il settore ha trovato nel terzo trimestre un punto di equilibrio. La flessione del fatturato si è infatti ridotta a un contenuto -0,9%, segnale di una stabilizzazione progressiva in un contesto globale ancora instabile. È quanto emerge dall’indagine congiunturale del Centro Studi di Confindustria Accessori Moda per Assocalzaturifici, che fotografa un comparto ancora in territorio negativo nei primi nove mesi (-4,1%), ma decisamente meno sotto pressione rispetto all’inizio del 2025.
«Il quadro resta complesso, e non risparmia neppure le fasce più alte dell’offerta, ma i dati del terzo trimestre indicano una riduzione della caduta e una prima luce in fondo al tunnel», spiega Giovanna Ceolini, presidente di Assocalzaturifici. «La capacità delle imprese di presidiare l’Europa e di intercettare la domanda nelle aree più dinamiche, come il Medio Oriente, resta decisiva per affrontare il 2026».
Export: meno valore, ma più paia
Il vero motore resta il commercio estero. Nei primi otto mesi del 2025 l’export vale 7,72 miliardi di euro (-1,3%), ma a fare notizia sono i volumi: 131,8 milioni di paia vendute oltreconfine, in crescita del 4,3%. Un recupero che passa anche da un aggiustamento dei prezzi medi, scesi a 58,58 euro al paio (-5,3%), dopo gli aumenti a doppia cifra del biennio 2022-2023.
L’Unione europea – destinazione di sette calzature esportate su dieci – accelera sia in valore (+2,2%) sia in quantità (+7,6%). La Germania guida la ripresa con un robusto +6% in valore e un +10% in volumi, seguita da Spagna, Polonia, Belgio e Austria. Fuori dall’Ue, il Medio Oriente si conferma l’area più brillante con un +13% in valore complessivo e gli Emirati Arabi Uniti a fare da locomotiva (+20%). Bene anche Turchia e Messico.
Resta invece in affanno l’Oriente, che registra contrazioni superiori al 20% sia in valore sia in volume, penalizzato dal rallentamento cinese (-24,6%) e dalla debolezza degli altri principali mercati asiatici.
Stati Uniti osservati speciali
Il mercato statunitense resta sotto la lente. Gli otto mesi chiudono con un +2,9% in valore, ma con un calo delle quantità (-4,2%). I dazi concordati nell’ambito dell’accordo Usa-Ue generano incertezza: ad agosto si è registrato un brusco -17,8% in valore, mentre i primi segnali di settembre indicano una reazione più dinamica del previsto. Oggi il 55% delle aziende esportatrici valuta l’impatto dei dazi come non marginale, con punte di forte criticità per una realtà su cinque.
Mercato interno piatto, produzione in affanno
Sul fronte domestico, i consumi delle famiglie nei primi nove mesi recuperano terreno e si allineano al 2024 grazie a un terzo trimestre positivo (+2% in quantità), ma restano lontani dai livelli pre-Covid (-7,7%). La produzione industriale continua a scontare le difficoltà accumulate, segnando un -8,5% nei primi nove mesi.
Il conto della lunga congiuntura sfavorevole si vede anche nella demografia d’impresa. A fine settembre il numero di calzaturifici attivi in Italia cala del 3,4% e gli addetti del 2,3%. Segnali di normalizzazione arrivano però dalla cassa integrazione, perché dopo l’impennata del primo trimestre (+66%), le ore autorizzate nella filiera pelle diminuiscono del 20% nei mesi successivi. La Toscana resta il distretto più esposto, seguita da Campania e Marche, in una gestione prudente della forza lavoro in attesa della ripresa.
In sintesi, il 2025 non è l’anno della svolta, ma quello del rallentamento della crisi. Le scarpe italiane camminano ancora su un terreno irregolare, ma il passo è più stabile. E il mercato, finalmente, smette di arretrare.
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