«Ma tu che vvuo’ a me?». Iniziamo bene. Antonino Cannavacciuolo mi guarda, perplesso, poi si siede su una sediolina che lo contiene a malapena in una delle stanze di Villa Crespi, il suo hotel con ristorante tristellato sul lago d’Orta che ci hanno preparato per un’intervista in cui proverò a stanare lo chef più televisivo e imitato d’Italia, forse anzi probabilmente il più famoso.
Togliamoci il dente subito. Cannavacciuolo, che cosa pensa dell’imitazione che fa di lei Max Giusti in tv?
«La trovo una cosa positiva, significa che il mio personaggio piace».
Ma non sembra più cattivo di quello che è?
«Ma chi mi conosce sa come sono. Io amo la serenità. L’ho portata anche a Masterchef. Si vada a vedere cinque minuti delle prime edizioni, quando io non c’ero, e cinque minuti delle ultime edizioni. Lo vede subito che con me non ci sono più urla. Questo è un mestiere che si nutre di positività, da lì nasce il cibo sano e buono. Con l’arroganza, con la cattiveria, con la parte nera non nasce niente di buono».
Lei sta sempre in tv. Come fa a conciliare questa attività con il ristorante tristellato, con gli altri cinque ristoranti che gestisce in tutta Italia e con tutto il resto?
«Ma io non sto sempre in tv, anche se certi giorni sembra così. Ma è perché i miei programmi vanno bene quindi li ridanno in continuazione, vedo in giro puntate di otto anni fa, poi c’è l’imitazione che mi fa la Giappala (dice proprio così), mi citano in continuazione e così sembra che sto sempre in tv. La verità è che faccio due programmi. Cucine da incubo lo registro a gennaio quando il mio ristorante è chiuso e Masterchef mi porta via tre giorni a settimana tra maggio e luglio. Parto per Milano la mattina, mi faccio portare dal mio autista, registro e il pomeriggio sono già qui al ristorante».
Cosa le porta la televisione, oltre ai soldi e alla visibilità?
«Mi arricchisce molto. Intanto a Masterchef facciamo un sacco di ricerca di prodotti, e poi portiamo chef di tutto il mondo, brasiliani, americani, ci sono le esterne che mi fanno vedere tanti posti diversi…».
Dai concorrenti impara mai qualcosa?
«Certo, alle volte fanno degli abbinamenti a cui io non avrei mai pensato. Il peperoncino con la fragola, non ci avrei mai pensato, però ci sta bene. Mi è successo più volte che prendessi dalle idee, sia dai ragazzi sia dagli chef che vengono in trasmissione».
Lei ha compiuto da poco cinquant’anni…
«Davvero?».
Sì, davvero. Come si vede in questa seconda fase della sua vita?
«Ma la mia vita è ancora in divenire! Oggi magari ti dico basta e domani mi vedi su un cavallo. Ho cinquant’anni, ma la testa di un ventenne, e domani posso smettere così come domani posso conquistare il mondo. Stiamo lanciando format più leggeri, ho aperto questo laboratorio da 2500 metri quadri, sto lavorando già ai panettoni del prossimo Natale, sto facendo le prove, io mica metto il nome su una cosa che compro da te!».
Lei è anche a capo di un gruppo con duecentocinquanta dipendenti.
«Sì, con mia moglie Cinzia (Primatesta, ndr). Una donna che per me non è importante ma importantissima. Io pensavo di avere accanto a me una grande imprenditrice, una grande donna del lavoro e invece ho scoperto di avere accanto a me una grande madre che mi ha dato due figli, bellissimi, Elisa di 18 anni e Andrea di 12. Sono stato molto fortunato. Se ho successo nel mio lavoro è perché ho avuto successo anche con la famiglia, altrimenti staremmo a parlare di altro»
Nei suoi vari ristoranti ha messo in cucina molti dei ragazzi cresciuti con lei.
«Qui a Villa Crespi ho avuto la fortuna di avere grandi ragazzi, grandi cuochi. Giovani che sono partiti da Napoli con il sogno di Villa Crespi, si sono affermati, poi sono cresciuti e a quel punto o ti fermi o vai altrove. Allora è nata l’idea di dare spazio a chi se lo meritava, mandandoli a guidare dapprima i miei bistrot a Torino e a Novara, poi al Cannavacciuolo by the Lake di Pettenasco, qui vicino, alle Cattedrali di Asti, al Vineyard di Terricciola in Toscana e al Cannavacciuolo Countryside di Ticciano, una frazione di Vico Equense».
Vico Equense è dove lei è nato.
«La casa di Ticciano è un altro racconto, una storia importante. Mio padre Andrea era un professore di scuola alberghiera e uno chef che se lo giocavano per averlo. Lui ha aperto quello che oggi è il Castello delle cerimonie, è arrivato a fare anche ventotto eventi in un giorno, faceva anche televisione poi si è scocciato di andare a Roma per 300mila lire…».
Si ma che c’entra con il ristorante?
«Mio padre aveva messo assieme un gruzzoletto e aveva comprato questo casale di cui mio nonno era stato il custode per quarant’anni. Era il 1994, io ero all’Approdo sul lago d’Orta ma mio padre pensava che io sarei tornato a casa e che avrei guidato il ristorante che lui pensava di aprire. Poi la mia vita ha preso altre strade».
E allora?
«Mio padre ormai si era rassegnato, era diventato un contadino, un contadino con la laurea, studiava gli innesti, i venti, la pioggia, riusciva a far crescere i carciofi e nessun altro ci riusciva e allora gli altri dicevano che usava “la droga”. Poi decido di fare i lavori e di trasformare il casale».
E suo padre? Felice?
«Macché, mi diceva: “Nun fa ‘o scemo, chi ce vene cca ’ncopp?”. E mia madre aggiungeva: “Vattenne in Svizzera, nun scenner”».
Ma lei ha insistito.
«A un certo punto hanno capito che non stavo scherzando. Poi mio padre ha avuto un ictus, si era ripreso con il corpo ma non riusciva a parlare, non gli venivano le parole e allora preferiva il silenzio. Stava andando in appocondria».
Che in napoletano vuol dire depressione.
«Sì, ma il fatto è che lui doveva andare tutti i giorni a controllare i lavori e se trovava qualcosa che non andava, doveva parlare. Con quel lavoro gli ho ridato quindici anni, tranquillamente».
E ha ridato vita anche a un paese.
«Avevo fatto un posto bellissimo ma era brutto arrivare fin là e allora mi sono preso la briga di fare dei lavori che non spettavano a me, ho messo le cabine elettriche, ho rifatto le strade, ho fatto arrivare il gas e la fibra, ho messo i tozzetti, i sampietrini, ho messo le fioriere. Ci hanno guadagnato tutti, se prima vendevi una casa a 100mila euro ora la vendi a 200mila euro».
E lei ci ha guadagnato?
«Con quei soldi mi potevo comprare due appartamenti a Sorrento e vivere quieto».
Al Cannavacciuolo by the Lake di Pettenasco lavora uno chef che lei bocciò a Masterchef. Come andò?
«Gianni Bertone. Stava lì lì per entrare nella classe dei venti. I miei colleghi gli avevano detto di sì, dipendeva tutto da me. Mi serve una mozzarella in carrozza, che deve filare come le briglie del cavallo. Io gli dico: se fila entri, se non fila significa che non è alla temperatura giusta. Apro ed è dura. Non fila. E gli dico, torna il prossimo anno».
Storia finita?
«Da quel momento là ogni presentazione di un libro, ogni evento partiva dal suo Molise e veniva a chiedermi di farlo lavorare con me. Una volta, a un evento allo stadio Olimpico di Roma, capisce chi è mia moglie e la sfinisce. Lei mi dice: ti prego, portalo a Villa Crespi, dagli una chance. È venuto, non aveva mai fatto lo chef. Ora ha una stella».
E magari…
«Sì, sa anche cucinare la mozzarella in carrozza».
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