«Dare una nuova linfa al venture capital italiano, oggi troppo sbilanciato sul pubblico e offrire un’alternativa concreta a chi vuole investire in tecnologia «in modo più efficace e stabile».
È con questo obiettivo che Radical Partners ha lanciato Radical Fund, il primo fondo di venture capital privato e indipendente nato in Italia. Guidato da Salvo Mizzi, figura di riferimento nell’innovazione italiana, Daniele Vecchi, cfo in un fondo sovrano ad Abu Dhabi, e da Cristiano Garocchio, che porta invece competenze nel mondo del recruiting e dell’executive search, il fondo nasce sulla base di un’idea abbastanza precisa: «Dare più spazio al capitale privato, al mercato e avere una visione chiara e solida.
Aspetti che attualmente mancano nel nostro Paese, dove il mercato è ancora troppo “statale” e gli investimenti in startup e tecnologia di conseguenza sono limitati», dice a Moneta Mizzi. «In Italia la massa complessiva di investimenti è di circa 1 miliardo di euro l’anno, non abbastanza per rimanere al passo degli altri principali paesi europei come Francia, Spagna e Germania o Regno Unito, dove si investe anche dieci volte di più che in Italia».
Il problema, secondo Mizzi, non è solo la quantità di denaro investito, ma anche la tipologia dei soggetti in campo: «Da noi il capitale è quasi tutto pubblico. Questo rallenta i processi, impone regole burocratiche e richiede sempre un coinvestimento privato per far partire i progetti. Il risultato? Tante risorse ferme e poche startup che crescono davvero».
Come funziona Radical Fund
Essendo un fondo di fondi, non investe direttamente in singole startup, ma in altri fondi di venture capital. L’idea è costruire una base più ampia e solida per il sistema, puntando su 25 nuovi fondi, ciascuno dei quali potrà poi investire in decine di startup. In totale, si parla di una esposizione a oltre 600 imprese innovative, con un rischio più distribuito rispetto agli investimenti diretti. «È un modello che dà più tranquillità agli investitori, soprattutto quelli istituzionali come casse previdenziali e fondazioni bancarie», spiega Mizzi.
Parlando di cifre, il target di raccolta è di 400 milioni di euro. La metà arriverà da Italia ed Europa, l’altra metà dai Paesi del Golfo. «Partiremo il mese prossimo. Puntiamo a un primo closing da 80 milioni in autunno», dice Mizzi. «Il nostro vantaggio? Siamo totalmente indipendenti, abbiamo orizzonti di lungo periodo e possiamo garantire stabilità».
Dove investirà
Radical Fund punta a fondi ad alto potenziale tecnologico in settori come l’intelligenza artificiale, il deep tech, il manifacturing, il climate change e l’healthcare. «Sono ambiti in cui si costruisce il futuro. E dove l’Italia ha tante competenze, ma troppo spesso mancano i capitali giusti per farle crescere». In questo modo, spiega Mizzi, si aiuterà anche un ricambio generazionale tra i gestori di fondi: «Il nostro modello apre spazio a nuovi team, nuove idee, nuove energie. Vogliamo dare fluidità a un sistema ancora troppo rigido».
Secondo Mizzi, il momento è quello giusto. «In Italia si parla da tempo di come avvicinare il risparmio privato al mondo produttivo. Ma per farlo servono prodotti credibili, veicoli seri, strutture che offrano un’esposizione sostenibile. Noi vogliamo essere una di queste soluzioni». La sensazione, dice, è che qualcosa si stia muovendo. «C’è un consenso crescente sull’idea che serva più capitale privato. Parlando ogni giorno con operatori e investitori, sento che è un’esigenza ormai condivisa».
D’altronde, la missione di Radical Partners è chiara: «Per far crescere davvero un ecosistema servono tre cose: una visione, le persone giuste e il capitale allocato in modo intelligente. Noi vogliamo allinearli. Questo è il nostro contributo», conclude il manager.
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