Quattro nuovi settori di business da esplorare, sviluppo in Usa e Canada, grandi opere (dal Ponte, agli stadi, all’Alta velocità in Sicilia), la volontà di partecipare al “new deal tedesco” delle infrastrutture e l’ipotesi, allo studio, di dare vita a società specializzate. Massimo Ferrari, general manager di Webuild, tratteggia a Moneta l’evoluzione del Gruppo, che grazie ad una visione strategica pluriennale dell’amministratore delegato e di un leadership team molto coeso, condurrà alla strategia aziendale dei prossimi mesi. «Il nostro rating attuale (merito di credito) è già superiore a quello di molte società attive solo nelle costruzioni. Siamo orgogliosi e soddisfatti del recente miglioramento della valutazione da parte di Fitch, che premia anni di lavoro disciplinato e coerente».
Un passo dall’investment grade (una sorta di pagellino che ne definisce l’affidabilità finanziaria) che è tutto merito di una «forte visibilità sui ricavi, di strutture contrattuali migliorate e di una concentrazione sul settore delle costruzioni (grandi infrastrutture), nonché di una transizione da aree geografiche ad alto rischio, ad aree e clienti stabili», racconta Ferrari, da 14 anni una delle anime pulsanti della strategia del gruppo nato in due step: prima la fusione tra Impregilo e Salini (nel 2011) e poi, nel 2020, l’evoluzione in Webuild dopo il salvataggio e l’integrazione di alcune aziende del settore tra cui la storica Astaldi.
Ad animare il gruppo in questi ultimi anni è stata «una visione basata su due pilastri: raggiungere una dimensione significativa come gli altri player nel settore delle infrastrutture e focalizzarsi sulla costruzione di infrastrutture complesse. Abbiamo mantenuto in parallelo, una leva finanziaria contenuta rispetto ai competitor», spiega Ferrari. «Un focus che ci ha premiato, permettendo al gruppo di avere una affidabilità che impatta positivamente sul costo del debito e sulle garanzie, indispensabili per concorrere alle gare pubbliche».
«Anche il derisking geografico è stato apprezzato dal mercato: abbiamo progressivamente spostato l’operatività verso aree più stabili, riducendo l’esposizione a paesi complessi». Non a caso, la presenza di Webuild in Italia è cresciuta: oggi il 33% dei ricavi sono domestici e il 67% derivano dall’estero. In particolare, da Australia, Arabia Saudita, Stati Uniti (con Lane) e Canada. «Il portafoglio ordini ammonta a circa 55 miliardi nelle costruzioni, tra i più alti del settore, e 7 miliardi nelle concessioni. Negli ultimi 4 anni abbiamo registrato una crescita dimensionale significativa con un fatturato ed ebitda praticamente raddoppiati e il rapporto gross debt/ebitda dimezzato a sotto 3 volte».
Una strategia che proietta Webuild verso una crescita costante e nuovi progetti. «Con il nuovo piano ci sarà ovviamente una continuità di business – ammette Ferrari -, ma vogliamo guardare ad alcune nicchie di settori ancillari che possono darci opportunità di crescita e di stabilizzazione. In particolare: gli ospedali; i data center, gli stadi e la manutenzione delle dighe, soprattutto in Italia e negli Usa, collegate alle centrali idroelettriche, che hanno in gran parte la necessità di essere messe in sicurezza. Sfrutteremo la nostra posizione da numeri uno nell’acqua per mettere a servizio del settore le competenze dei nostri oltre 4000 ingegneri specializzati».
Un’altra area di interesse per il gruppo è poi il “new deal infrastrutturale tedesco da oltre 500 miliardi.
Novità sono in cantiere, poi, per due business: quello delle concessioni (oltre 10% del backlog) e quello dell’acqua, in cui siamo leader. «Puntiamo a valorizzare entrambi i business cercando partner che ne possano supportare la crescita e per questo abbiamo allo studio delle società ad hoc. Nel primo caso, la “Webuild Concession” potrebbe radunare tutte le nostre concessioni (dalla Colombia, all’Argentina, fino all’ Italia) per poi andare sul mercato a caccia di fondi infrastrutturali che vogliano investire con noi e che hanno grandi disponibilità e interesse». Parola chiave: fare ordine e valorizzare i progetti.
Un grande punto di attenzione riguarda anche il settore dell’acqua. «Webuild opera con il leader mondiale Fisia nella dissalazione, ed è riconosciuta da grandi investitori soprattutto nel Medio Oriente. Vogliamo renderla un veicolo attraente per soci con cui fare sviluppo, non solo costruzione di impianti». Tutto questo, con in parallelo un occhio al mercato Usa dove «guardiamo a progetti federali o ad alleanze sui singoli progetti; e al Canada e Australia dove abbiamo molti piani, per dei mercati in straordinaria evoluzione sia dal punto di vista contrattuale, sia sotto il profilo della transizione energetica».
Guardando all’Italia, oltre ai business delle dighe e delle costruzioni una grande opera su tutte potrebbe vedere la luce: «il Ponte sullo Stretto, assegnato a Eurolink di cui siamo capofila, attende l’ultimo via libera del Cipess. Sarà il più grande ponte al mondo a campata unica con impatti molto significativi a livello di occupazione e di filiera», aggiunge Ferrari.
Sempre in Sicilia, Webuild è impegnata nello sviluppare l’alta velocità ferroviaria (per conto di Rfi) con 7 miliardi di investimenti per collegare i capoluoghi di Provincia. Un occhio di riguardo andrà, poi, al business degli stadi: il Governo sta lavorando a un decreto a supporto del rinnovamento degli impianti calcistici in tutta Italia. «Noi siamo attivi sul Dall’Ara di Bologna, ma abbiamo skill per altri progetti, anche fuori dal Paese, come dimostrato per i Mondiali in Qatar». «Se negli ultimi 12 anni abbiamo consegnato 330 grandi infrastrutture ci sono molte ragioni, ma una su tutte – conclude Ferrari – è la gestione centralizzata, e quindi trasparente, che caratterizza il gruppo per gare, acquisti, risk management, supply chain, gestione del circolante, salute e sicurezza dei lavoratori. Noi le opere le facciamo anche in condizioni geopolitiche non semplici come è stato negli ultimi anni».
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