Ce ne sono per tutti i gusti. Gli Etf, acronimo di Exchange traded funds, hanno letteralmente invaso i mercati globali in questi ultimi anni con migliaia di proposte che spaziano su tutto il firmamento del mondo investibile. Nati per assolvere il semplice compitino di replicare l’andamento dei maggiori indici azionari globali come l’S&P 500 o l’Msci World, adesso gli Etf permettono di intercettare qualsiasi tipo di esigenza d’investimento.
Oro, bitcoin, intelligenza artificiale, petrolio, uranio e persino private equity o veganismo. Sono solo alcuni esempi in quanto gli emittenti dei cosiddetti cloni negli ultimi anni si sono dilettati a strutturare anche prodotti legati ai fondamentali, settoriali, tematici o che vanno a selezionare i titoli da ricomprendere nell’indice sottostante applicando i dettami delle strategie d’investimento value di Warren Buffett o rifacendosi al Cape ratio ideato dal premio Nobel Robert Shiller.
Tra le new entry non mancano le proposte che invece tornano su quello che è il dna originale degli Etf quando vennero lanciati nel lontano 1993, ossia poca apparenza e tanta sostanza. È il caso dell’Etf Granny Shot che trae ispirazione dal basket e in particolare da Rick Barry, ex cestista all of fame Nba che tirava i liberi dal basso, da qui il nome granny shot, uno stile antiquato e non bello da vedere, ma sorprendentemente efficace nel caso di Barry che chiuse la carriera con un fenomenale 90% dalla lunetta. L’Etf ideato da Tom Lee, strategist di Wall Street e co-fondatore di Fundstrat Global Advisors, celebre per la sua abilità nell’intercettare le future tendenze sui mercati, non fa altro che concentrarsi su un portafoglio di azioni poco ‘appariscenti’, ma ad alte prestazioni e che vanno a intercettare i temi destinati a plasmare l’economia nel prossimo decennio, come gli stili di vita digitali nelle nuove generazioni, l’innovazione tecnologica e i cambiamenti nei consumi. L’Etf granny shot è da poco in pista, ma nei suoi 8 mesi di vita ha sovraperformato l’S&P 500 e ha calamitato già oltre 1 miliardi di patrimonio. In Europa invece gli investitori si stanno mostrando molto propensi ad abbracciare gli Etf tematici che permettono un’ esposizione mirata sull’intelligenza artificiale, e che quindi sono dominati al loro interno da società di Wall Street quali Nvidia, Microsoft, Alphabet, Meta e Amazon. Secondo i dati Morningstar, circa i due terzi dei 31,8 miliardi di dollari di asset globali in strategie sull’IA sono proprio in mano a investitori del Vecchio continente.
Altri trend molto forti dell’ultimo anno sono gli Etf sul settore della difesa, così come quelli sull’uranio; quest’ultimo un caso emblematico in quanto a differenza di altre materie prime non è scambiato in un mercato aperto e di conseguenza l’investitore trova attraverso gli Etf la sponda per esporsi a un paniere di società attive nel business dell’uranio e dell’energia nucleare. Certo, non tutti i nuovi replicanti fanno centro, anzi la maggior parte sono piccoli e di nicchia, con meno di 100 milioni di asset ciascuno e quando non incontrano i favori degli investitori gli emittenti decidono spesso di delistarli.
Crescita senza soste
Negli Stati Uniti sono oltre 4.200 i replicanti quotati da 391 emittenti anche se nel concreto il mercato da 11mila miliardi di dollari è dominato da quattro big – Vanguard, iShares (BlackRock), Invesco e State Street – che controllano 9mila miliardi di asset. Quest’ampia possibilità di scelta fa degli Etf un contenitore perfetto per le proposte orientate ai piccoli investitori che cercano prodotti semplici e convenienti per prendere posizione sul mercato. Nell’ultimo decennio il ritmo di crescita degli Etf oltreoceano sfiora il 17% medio annuo in termini di asset.
L’aumento dell’interesse verso i cloni è da tempo un fenomeno globale e da un survey di Brown Brothers Harriman (BBH) emerge che la quasi totalità (95%) degli investitori istituzionali intende aumentare le proprie allocazioni in Etf. «Gli emittenti di ETF stanno innovando per soddisfare le sofisticate esigenze di investimento degli investitori di oggi e per navigare in questa incertezza del mercato», rimarca Tim Huver, managing director del team Etf Servicing di BBH. A livello globale Pwc stima che si arriverà a 30mila miliardi di dollari entro il 2029 e l’Europa risulta tra i mercati dalla crescita potenziale più alta in virtù dell’ancora relativamente bassa quota di investitori retail che usa gli Etf e dal diffondersi delle piattaforme digitali che puntano con decisione su prodotti semplici quali i pac in Etf per spingere i risparmiatori a iniziare a investire in maniera graduale e con prodotti poco costosi (solitamente i piani di accumulo sono proposti a zero commissioni).
In Italia, secondo l’analisi di Etf Stream, tra il 2014 e il 2024 il patrimonio gestito degli Etf quotati su Borsa Italiana è quasi quadruplicato a 121 miliardi di euro.
Niente sorprese e costi XS
Indipendentemente da ciò che vanno a replicare, la maggior parte degli Etf deve la propria popolarità alla praticità e ai bassi costi. Considerando i tradizionali Etf a replica passiva, si tratta di strumenti agili che danno all’investitore ciò che promettono, niente più niente meno. La performance si uniforma a quella dei benchmark che vanno a replicare, evitando le potenziali sgradite sorprese della gestione attiva. Dall’ultimo report Spiva curato di S&P emerge che negli ultimi dieci anni negli Stati Uniti solo il 15,6% dei fondi azionari attivi ha sovraperformato l’S&P 500. In Europa i numeri sono ancora più impietosi con meno dell’8% dei gestori azionari in grado di fare meglio dell’indice S&P Europe 350.
A questo si aggiunge l’elemento costi, non di poco conto soprattutto sul lungo termine. I fondi attivi presentano costi medi dell’1,04% in Europa stando all’ultimo report di Efama, mentre gli Etf si fermano allo 0,27%, quindi solo un quarto e nel lungo termine questa differenza si traduce in risparmi e soprattutto rendimenti netti superiori.
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