Il chiodo fisso di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, è obbligare – in un modo o nell’altro, più prima che dopo – l’acquisto da parte di tutti i cittadini europei di un’auto elettrica. Per questo le ultime trovate, esposte nel suo recente intervento sullo stato dell’Unione, si chiamano e-car con 1,8 miliardi da investire sulla produzione nostrana delle batterie. Di e-car avevano parlato tempo fa John Elkann, presidente di Stellantis (e si vede come la “scossa” pianificata ha giovato, tanto da indurre il gruppo a rivedere bruscamente i piani), e Luca De Meo, l’ex ceo di Renault che ha preferito cambiare aria accasandosi nel gruppo del lusso Kering. Qui, tra l’altro, De Meo ha dichiarato di trovarsi «nel posto giusto». Già, e prima, quando vedeva, pure lui, un futuro ravvicinato «tutto elettrico» per l’auto?
Da un lato, dunque, la tedesca Ursula intende costringere le famiglie, quelle a basso reddito, a possedere una sorta di Trabant uguale per tutti – «europea, elettrica, ecologica ed economica» – così da rispondere nel modo migliore alla potenza e alla concorrenza dei cinesi. Bah, un’idea tutta da ridere. La realtà, ancora una volta, se ciò andasse in porto, ci direbbe che il diktat suicida resta la parola d’ordine di questa disastrosa guida dell’Unione europea.
E poi le batterie, la volontà di produrre in Europa senza tenere conto o sottovalutando, per l’ennesima volta, che ad avere il dominio mondiale delle materie prime, il cuore delle batterie, sono gli odiati cinesi. Ma che giornali legge questa signora? E che dire del costo dell’energia elettrica per realizzare batterie, che nel Vecchio Continente è altissimo (circa il 160% in più) rispetto al Paese asiatico? Per non parlare dell’inquinamento e dello sfruttamento di manodopera nel momento in cui si estraggono i materiali dalle miniere. Insomma, è pura illusione cercare di competere con Pechino in questo settore.
In Europa, al momento, salvo rarissimi casi (la gigafactory di Stellantis, guarda caso in Francia, a Douvrin), i tentativi nella direzione dell’ Ursula-pensiero sono fermi al palo, senza prospettive concrete (le gigafactory, sempre di Stellantis, a Termoli e in Germania, a Kaiserslautern) con migliaia di lavoratori in bilico. Per non parlare del clamoroso fallimento del gigante svedese delle batterie Northvolt (crac recente anche in Canada), indebitato per 8 miliardi e costato il posto a 1.600 dipendenti, ora finito nelle mani dell’americana Lyten. Come risposta, la presidente, speriamo ancora per poco, von der Leyen, intende puntare sulle batterie “solo” 1,8 miliardi. Evviva.
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