«L’accordo commerciale Ue-Usa sta passando dalla carta alla pratica: riduzione delle tariffe doganali sulle automobili e sui ricambi della Ue a partire dal 1° agosto. Esenzioni chiave: tariffe doganali dello 0% su aeromobili e ricambi, farmaci generici, alcuni prodotti chimici, risorse naturali e altro ancora», ha annunciato il commissario Ue al Commercio Maros Sefcovic. Attenzione, però. Perché i veri dazi partono dai materiali e non dai settori.
Bruxelles e Washington il 21 agosto hanno diffuso una dichiarazione congiunta che prevede un’aliquota tariffaria massima del 15% per la stragrande maggioranza delle esportazioni dell’Ue, compresi settori strategici come automobili, prodotti farmaceutici, semiconduttori e legname. Questo sulla carta, perché le aziende della metalmeccanica della Ue stanno scoprendo che il dazio effettivo all’export negli Usa non è il 15% ma il 50%, perché Washington applica i dazi su acciaio e alluminio a tutti i beni che contengono questi metalli, come motori, motociclette e pompe industriali.
A rilanciare l’allarme è stata anche l’industriale dell’acciaio Emma Marcegaglia, ex presidente di Confindustria, «Trump dice che i dazi sono al 15%, ma tutti i manufatti che hanno un contenuto di acciaio sono tassati al 50%, ad esempio moto, trattori, elettrodomestici, condizionatori e altro, ma escluse le automobili: per tutti questi prodotti i dazi, a seconda della quantità di acciaio, sono al 18%, 20% o 25%», ha detto Marcegaglia sottolineando il rischio di dazi nascosti su tutto ciò che contiene metalli come acciaio e alluminio, aggirando così gli accordi Usa con l’Europa per tariffe al 15%.
Sono preoccupazioni che sono state condivise anche dalla German Mechanical Engineering Industry Association, rilanciate dal Wall Street Journal. Il settore dell’acciaio è un po’ un pallino del presidente Usa. Già nel 2018 ha messo dazi al 25% su acciaio e alluminio ed è successo che nel giro di neanche un anno l’export europeo e italiano negli Stati Uniti è crollato. «Avendo Trump messo dazi nei confronti di tutti i grandi Paesi esportatori come Cina, Corea, Malesia, India, il rischio vero è che il loro acciaio, parliamo di 30 milioni di tonnellate, venga dirottato in Europa. Bisogna fare in modo che oggi le quote che ci sono vengano mantenute, o addirittura ridotte», ha spiegato Marcegaglia.
Intanto, dall’altra parte dell’Atlantico, il segretario al Tesoro Usa, Scott Bessent, si è detto “fiducioso” sul fatto che il piano tariffario del presidente Donald Trump “vincerà” alla Corte Suprema, ma ha avvertito: se i dazi venissero eliminati “dovremmo rimborsare circa la metà dei dazi, il che sarebbe terribile per il Tesoro». L’amministrazione Trump ha chiesto alla Corte Suprema una “sentenza accelerata” per ribaltare la decisione della corte d’appello che ha stabilito che la maggior parte dei dazi imposti sulle importazioni da altri Paesi sono illegali. In generale, la Corte Suprema potrebbe impiegare fino all’inizio della prossima estate per emettere una decisione sulla legalità delle tariffe di Trump.
Bessent ha affermato che «rimandare la sentenza fino a giugno 2026 potrebbe portare a uno scenario in cui saranno già stati riscossi dazi per un valore compreso tra 750 miliardi e 1.000 miliardi di dollari, e la loro revoca potrebbe causare notevoli disagi». L’amministrazione sta lavorando a piani di riserva nel caso in cui ciò non avvenisse. Tra queste misure potrebbe rientrare l’introduzione di tariffe tramite la Sezione 232 o imposte specifiche per settore. La sezione 232 del Trade Expansion Act del 1962 consente al presidente di imporre imposte in modo che tali importazioni non minaccino di compromettere la sicurezza nazionale, a seguito di un’indagine sulle pratiche commerciali.
Nel frattempo, la mappa delle tariffe è sempre più intricata. Dal 5 aprile, la Casa Bianca ha introdotto un dazio minimo del 10% su tutte le importazioni provenienti da Paesi non coperti da accordi specifici. Oltre alla tariffa generale, applica dazi differenziati a seconda del partner commerciale con punte del 46% sul Vietnam e del 49% sulla Cambogia. E un minimo del 10% per il Regno Unito. La Cina affronta aliquote che oscillano fra il 30% e il 34%, con alcuni settori colpiti persino da tariffe oltre il 100%. Trump ha colpito l’India con dazi al 50%, un 25% per le tariffe reciproche e un altro 25% per gli acquisti di petrolio russo.
Quanto all’Europa, ad oggi non è stato raggiunto un accordo sul vino e sugli alcolici, che quindi restano assoggettati a una tariffa del 15 per cento. Da inizio agosto sono, invece, scesi dal 27,5 al 15% i dazi Usa sulle auto europee. Sempre ad agosto l’amministrazione Trump ha esteso i dazi del 50% su acciaio e alluminio a oltre 400 categorie di prodotti aggiuntivi. E il presidente Usa ha anche minacciato di imporre imposte elevate su semiconduttori e prodotti farmaceutici. Altre imposte che non sarebbero interessate dalla battaglia legale di Trump sono quelle sui prodotti a basso costo. La Casa Bianca ha ufficialmente eliminato “l’esenzione de minimis” sui beni destinati agli Stati Uniti di valore pari o inferiore a 800 dollari. L’Unione postale universale, un’agenzia delle Nazioni Unite, ha dichiarato che il traffico postale verso gli Stati Uniti è crollato di oltre l’80% mentre gli operatori postali cercano indicazioni sulla conformità alle nuove regole. In pochi giorni, quasi novanta enti nazionali, dall’Europa all’Asia, hanno bloccato o ridotto drasticamente le spedizioni verso gli Stati Uniti. Il traffico si è contratto di oltre quattro quinti.
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