Se il mercato dell’arte perde colpi e i galleristi si leccano le ferite, le case d’asta hanno di che consolarsi grazie all’esplosione di un collezionismo che è decuplicato negli ultimi cinque anni: quello dei fossili preistorici.
La breaking new dello scorso luglio sull’aggiudicazione per 30,5 milioni di dollari dello scheletro di un giovane ceratosauro in condizioni perfette a un’asta di Sotheby’s New York è infatti tutt’altro che un caso isolato. A far scalpore, quest’estate, fu soprattutto il fatto che la vendita, in virtù dell’eccezionale stato di conservazione del dinosauro di 150 milioni di anni, avesse superato di sei volte la stima stabilita tra 4 e 6 milioni di dollari. Ma casi pressocchè analoghi si erano già verificati con altri record negli anni precedenti, come il Tyrannosaurus “Stan” aggiudicato a 31,8 milioni, lo stegosauro “Apex” battuto a 44,6 milioni di dollari, il triceratopo “Big John” (il più grande mai rinvenuto) venduto a Parigi per 6,6 milioni di dollari.
Questo vero e proprio boom di vendite e di prezzi è dovuto a diversi fattori, primo tra tutti la forte domanda da parte di nuovi musei dotati di straordinaria liquidità, come quelli arabi e quelli asiatici desiderosi di riempire le sale con “opere pop” di grande impatto. Ma anche da parte del collezionismo privato, tutt’altro che assopito evidentemente, l’interesse per le “opere d’arte” provenienti dal giurassico si è acceso in questi anni a dismisura. Luca Cableri, mercante veneto che un decennio fa inaugurò ad Arezzo la galleria-wunderkammer “Theatrum mundi” specializzata in memorabilia naturali, ha toccato il fenomeno con mano: «Fino al 2019 una testa di triceratopo ben conservata poteva costare al massimo 100mila euro, adesso superiamo il milione; un dente di T-Rex in condizioni ottimali si vendeva a 10mila, adesso a oltre 100mila».
È la dimostrazione che il top lot di luglio sia la punta dell’iceberg e che la “dinomania” non riguarda soltanto il cosiddetto mercato alto: «Le vendite milionarie fanno ovviamente notizia -dice Cableri – ma dobbiamo considerare che nel mondo esistono 3.200 miliardari di cui uno su dieci colleziona arte. Oggi questi ultraricchi comprano dinosauri con la stessa motivazione con cui comprerebbero un capolavoro del Rinascimento; peccato che di grandi capolavori d’arte antica sul mercato non ce ne siano più, e anche nell’arte moderna è molto più facile imbattersi in opere di seconda fascia. Un fossile preistorico in perfette condizioni è invece un’opera unica che un grande collezionista non si fa sfuggire, non solo per ragioni di investimento e di irripetibilità, ma anche semplicemente come status symbol».
Questa fascia alta di collezionismo, soprattutto americani e asiatici, privilegia scheletri completi di dinosauri o mammiferi preistorici, in primis T-rex, triceratopi o velociraptor, mentre i fattori che influenzano il prezzo sono la rarità, lo stato di conservazione, la provenienza documentata e l’eventuale esposizione museale. La seconda fascia riguarda gli scheletri parziali, vertebre grandi, teschi, denti, zanne o corni, con prezzi che possono oscillare da centinaia di migliaia di euro a qualche milione. Di fascia decisamente più bassa (ma comunque in crescita) è invece il collezionismo amatoriale-decorativo che comprende fossili comuni come ammoniti, tritobiti e conchiglie. «Rispetto al passato, oggi esiste una diligence che esige un’approfondita documentazione sul luogo di reperimento e le modalità di assemblaggio di pezzi che siano il più possibile originali e appartenenti a quel dinosauro; sono questi i fattori che determinano il prezzo».
La casa d’aste Sotheby’s rappresenta oggi la maggiore autorità garante in questo particolarissimo segmento, e le altre maison, in particolare Christie’s, hanno fiutato il business e si sono messe in scia. Anche perché, a differenza di quanto si possa immaginare, si tratta di una vera e propria miniera d’oro. «Viviamo su questo pianeta da 5 milioni di anni, mentre i dinosauri sono sopravvissuti 300 milioni di anni, dunque di ossa e scheletri è pieno il mondo, basta scavare», spiega Cableri che, con un socio americano, ha un contratto di affitto di una vasta area del Dakota, una tra le zone più ricche di fossili del nord America con lo Utah, il Montana, il Colorado o il Wyoming, da cui proviene il ceratosauro da 30 milioni di dollari. «Ce ne sono, ma estrarli e catalogarli non è facile, soprattutto sono molto rari quelli completi, che paragonati all’arte sono i veri capolavori. Una volta potevo venderne in galleria, oggi meglio l’asta dove il prezzo può decollare». E il mercato italiano? Pressocché inesistente, anche perché per legge un reperto preistorico è un bene culturale che appartiene allo Stato.
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