Correva l’anno 1984 quando Gestiras – oggi parte di Allianz Global Investors – lanciò il primo fondo comune di investimento di diritto italiano, a un anno dall’approvazione della legge che aveva reso possibile la nascita di questi strumenti. Già nel primo anno circa cinquantamila risparmiatori si erano avvicinati ai fondi comuni. Ma il vero boom, una rivoluzione per il mercato, si ebbe nel 1985. L’effetto fondi entrò rapidamente in circolo dando linfa a una vertiginosa crescita del mercato borsistico tricolore. Basti pensare che quell’anno, con il progressivo diffondersi dei fondi tra i risparmiatori, Piazza Affari segnò una crescita del 100,7% bissata dal più 64% l’anno successivo di pari passo con il notevole sviluppo della raccolta dei fondi che, alla fine del 1986, possedevano azioni per un importo pari al 12,4% dell’intera capitalizzazione di Borsa. I fondi hanno a tutti gli effetti “democratizzato” l’accesso all’azionario, permettendo che una parte dei risparmi delle famiglie entrasse virtualmente in Borsa, anche per chi non aveva capitale o conoscenza diretta dei mercati. Ciò ha introdotto una nuova sorgente di domanda per le azioni quotate con la crescita del patrimonio gestito che ha indubbiamente contribuito a portare liquidità aggiuntiva sulle azioni delle maggiori aziende italiane.
Da allora sono passati quattro decenni e l’industria del risparmio gestito ha attraversato stagioni di grande prosperità così come momenti di profonda crisi. Difficile dimenticare il 2008, con deflussi record per 114 miliardi sull’onda del crack Lehman Brothers, con una scia di sei lunghi anni per tornare ai precedenti livelli di patrimonio gestito, complice la crisi del debito sovrano che indusse migliaia di risparmiatori a ritirare le proprie quote.
Oggi l’industria dei fondi, con la sponda di mercati intonati al rialzo, vede il patrimonio gestito veleggiare sopra i 2.550 miliardi di euro, con oltre 11,6 milioni di investitori attivi, pari a quasi un italiano su cinque. Dall’ultimo Osservatorio Assogestioni emerge che lo scorso anno circa 1,5 milioni di italiani hanno investito per la prima volta in un fondo comune. In generale l’Italia si conferma quinto mercato in Europa come masse gestite e spicca per la quota di investitori retail (59% del totale) decisamente più alta rispetto alla media Ue (33%); retail che in 7 casi su 70 si affidano ai fondi comuni, con l’investimento medio in area 52mila euro, anche se metà dei sottoscrittori destina cifre contenute, sotto i 21mila euro. Un primo elemento di potenziale criticità è l’elevata età media dei sottoscrittori, 61 anni, con i Boomers a detenere quasi metà delle masse (48%). Le nuove generazioni iniziano a guadagnare spazio: Millennials e Gen Z costituiscono ormai il 15% dei sottoscrittori (ma solo il 6% delle masse) e, tra i nuovi ingressi del 2024, i giovani pesano per il 23%. Un dato ancora distante dai livelli d’oltreoceano, dove il 49% dei Millennials e il 35% della Gen Z investono in fondi.
E’ tempo di innovare
L’anno in corso sta mostrando segnali positivi (flussi per 16 miliardi nel primo semestre) con la sponda di mercati tonici e di un interesse crescente verso soluzioni innovative. «Il settore dell’asset management si trova oggi in una fase di trasformazione in cui la crescita delle masse passa dall’ampliamento dell’offerta e da una forte spinta sull’innovazione», argomenta Graziano Pace, Principal di Boston Consulting Group. Sulla stessa lunghezza d’onda Mauro Panebianco, partner Pwc Italia e asset & wealth management leader: «La tecnologia serve anche nel dialogo con il cliente, l’interazione è sempre meno fisica e più digitale in una logica B2B2C, cioè sfruttare la tecnologia per supportare il consulente o la banca nella vendita dei prodotti e per dare tutte le informazioni sia nella fase di vendita che nella fase di post-vendita con il reporting che diventa una sorta di navigazione in quello che è il mondo delle performance dell’asset allocation». «L’innovazione di prodotto sta gradualmente aprendo ai retail – aggiunge l’esperto di Pwc – con una maggiore ricerca di un generatore di alfa che arriva anche dal mondo degli alternativi, dal real estate ai fondi di credito, passando per quelli infrastrutturali, Eltif e private equity». Una tendenza che sta assumendo dimensioni rilevanti. L’accesso dei piccoli investitori nei mercati privati ha superato i 300 miliardi di dollari di patrimonio netto a livello globale, crescendo di oltre cinque volte negli ultimi quattro anni proprio in virtù della domanda di rendimenti più elevati in rapporto al rischio e di un ulteriore elemento di diversificazione dell’allocazione. Tuttavia, per servire efficacemente il mercato retail, va rafforzata l’educazione finanziaria sugli asset alternativi.
L’insidia dei passivi
Il settore è alle prese con margini sotto pressione e gli asset manager sono sotto pressione per fare di più con meno. La prima è la competizione dei prodotti passivi, come gli Etf, che hanno costi molto più bassi: in Europa i fondi comuni hanno in media commissioni fino a quattro volte superiori. La sfida tecnologica non è da meno con la distribuzione si sta spostando sempre più verso piattaforme digitali e app di trading, che intercettano soprattutto i più giovani, che al momento gestiscono risorse molto esigue ma nei prossimi anni dovrebbero vedersi piovere addosso i patrimoni non indifferenti accumulati dai genitori. La pressione sulle commissioni è quindi destinata ad aumentare, con investitori più attenti a efficienza e trasparenza. «Molti operatori stanno ripensando le strategie di offerta e distribuzione, anche attraverso portafogli modello e strumenti come gli Etf attivi, che ormai rappresentano il 44% delle nuove emissioni annuali in Europa, pur mantenendo ancora un peso contenuto sul totale delle masse gestite», rimarca l’esperto di BCG.
Le dimensioni contano
La competizione si gioca su scala globale e il settore, alle prese con margini sotto pressione, è chiamato a fare di più con meno. Le società di gestione fanno sempre più a gara per acquisire scala, ampliare l’offerta e potenziare le competenze tecnologiche. Secondo uno studio di BCG condotto su 270 società di gestione, in media un asset manager ha raddoppiato le proprie masse tra il 2013 e il 2023. Chi gestisce le masse più elevate, può ridurre i costi grazie all’implementazione della tecnologia, che consente operazioni semplificate e processi più efficienti. Per il mondo dei fondi risulta quindi sempre più importante perseguire economia di scala. «Il processo aggregativo è essenziale per competere contro i giganti americani che hanno abbondantemente superato la soglia del trilione di dollari, mentre da noi in Europa esistono pochi player con queste dimensioni», argomenta Panebianco, che aggiunge: «Per competere in un mercato globale dominato da player in grado di portare avanti forti investimenti su ricerca, sviluppo e tecnologia, serve una capacità dimensionale per fare questi investimenti; quindi, il processo aggregativo soprattutto su soggetti di piccole-medie dimensioni diventa quasi strettamente necessario per sopravvivere».
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