AstraZeneca quoterà le proprie azioni ordinarie direttamente al New York Stock Exchange, abbandonando l’attuale struttura basata sugli ADR (American Depositary Receipts).
La multinazionale anglo-svedese – preziosissima per la Borsa inglese – ha confermato che, nonostante questo passo verso una maggiore presenza sui mercati americani, manterrà la sede legale e la quotazione principale a Londra. Un sollievo per gli investitori britannici, dopo la fuga di alcune notizie nelle scorse ore che suggerivano l’abbandono della quotazione inglese a favore di quella statunitense.
L’obiettivo è quello di adottare una struttura di quotazione globale, che consenta di raggiungere una platea di investitori più ampia e diversificata.
“Abbiamo presentato la nostra proposta di struttura di quotazione armonizzata, che supporterà la nostra strategia di crescita sostenibile a lungo termine, pur mantenendo la sede centrale nel Regno Unito e la quotazione a Londra, Stoccolma e New York”, ha dichiarato in una nota il presidente di AstraZeneca, Michel Demare.
“L’adozione di una struttura di quotazione globale ci permetterà di raggiungere una platea più ampia e diversificata di investitori internazionali”.
La decisione arriva dopo settimane di indiscrezioni secondo cui AstraZeneca, oggi la società con la più alta capitalizzazione tra quelle quotate alla Borsa di Londra, stava valutando la possibilità di trasferire la propria quotazione principale negli Stati Uniti. Voci che avevano alimentato preoccupazioni su un possibile ulteriore indebolimento della City, che negli ultimi anni ha perso terreno rispetto ai mercati finanziari statunitensi, capaci di offrire valutazioni più elevate e maggiore liquidità.
Ad accrescere l’incertezza sul futuro della presenza del gruppo nel Regno Unito aveva contribuito, all’inizio di settembre, anche la sospensione di un investimento da 200 milioni di sterline destinato al centro di ricerca di Cambridge.
La big del farmaco ha inoltre annunciato che investirà 50 miliardi di dollari nella produzione negli Stati Uniti entro il 2030 per evitare le ripercussioni dei pesanti dazi al 100% sui farmaci prodotti fuori dagli Stati Uniti annunciati dal presidente Donald Trump. Ridurrà inoltre il costo di alcuni farmaci destinati ai pazienti statunitensi.
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