L’oro giallo dell’Italia torna a brillare dopo un 2024 disastroso per i raccolti con la produzione che era scesa per la prima volta al quinto posto tra i principali player, preceduta in Europa da quelle di Spagna e Grecia e nel mondo anche da Turchia e Tunisia, secondo le elaborazioni dell’Osservatorio Coldiretti su dati dell’Olive Oil Concil (Coi). L’analisi congiunta di Unaprol, Coldiretti e Foa Italia per la nuova campagna di raccolta delle olive, appena iniziata, prospetta una netta ripresa con la produzione nazionale di olio che dovrebbe attestarsi intorno alle 300mila tonnellate, +30% rispetto allo scorso anno quando il raccolto aveva raggiunto un quantitativo di appena 224mila tonnellate su oltre un milione di ettari di terreno. La situazione più positiva arriva dal Mezzogiorno, dove si prevede un incremento produttivo tra il 30% e il 40% grazie alle piogge estive, con Puglia e Calabria che rappresentano oltre il 60% della produzione nazionale. Criticità al Centro dove la situazione è disomogenea con cali medi del 10-15%, mentre al Nord si stima un -40% causa maltempo.
Nonostante i segnali complessivamente positivi l’Italia, che è il principale consumatore mondiale di olio di oliva, resta tuttavia abbondantemente sotto l’autosufficienza e ben lontana dai valori del passato (nel 1995 fa la produzione era di 448mila tonnellate). A pesare sono gli effetti dei cambiamenti climatici, i vecchi impianti, la scarsa disponibilità di acqua, la strage provocata dalla xylella. Ad aggravare la situazione anche le pratiche sleali e la mancanza di reciprocità nelle regole con il prodotto importato, tanto a livello di utilizzo di pesticidi vietati nell’Unione Europea quanto di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente. Un vero e proprio fiume di prodotto che finisce spesso per essere spacciato per nazionale anche attraverso frodi e adulterazioni.
Granieri
«L’aumento di produzione non deve distogliere dall’urgenza di investimenti in infrastrutture, ricerca e innovazione in tutte le aree del Paese. Serve implementare piani di sviluppo che garantiscano al comparto olivicolo italiano la resilienza necessaria ad affrontare le crescenti e imprevedibili sfide climatiche future. L’obiettivo rimane quello di sostenere tutti i produttori e rafforzare la posizione di eccellenza dell’olio extra vergine d’oliva italiano sui mercati globali», ha dichiarato David Granieri, vicepresidente nazionale di Coldiretti e presidente di Unaprol – Consorzio Olivicolo Italiano. «Per garantire olio extravergine d’oliva buono e sostenibile sugli scaffali è importante raggiungere l’obiettivo di aumentare del 25% le piante di ulivo entro i prossimi 7-10 anni, accelerando sul fronte della tracciabilità a livello europeo». Il 70% degli uliveti italiani è infatti situato in aree montane e collinari, zone a maggior rischio di abbandono. Ed è per questo che è importante agire attraverso il recupero degli oliveti abbandonati con misure dedicate al ringiovanimento degli impianti tradizionali ed eroici ma anche effettuare l’espianto e reimpianto con varietà italiane adatte alla meccanizzazione. Senza dimenticare la necessità di garantire la disponibilità di acqua con investimenti per un piano bacini sollecitato da Coldiretti e dall’Anbi (Associazione Nazionale Bonifiche Italiane).
L’Italia è il principale importatore mondiale di olio di oliva con oltre 400mila tonnellate delle quali ben 70mila arrivate da Paesi extracomunitari nel 2024, per la quasi totalità dalla Tunisia che gode di un regime agevolato dall’Ue ma che non sempre rispetta gli stessi parametri di sicurezza alimentare, tutela sociale e ambientale. In Italia è arrivato il 27% dell’olio esportato dalla Tunisia da novembre 2024 ad agosto 2025 con un prezzo medio all’esportazione ad agosto 2025 che ha oscillato tra 7,57 e 17,22 dinari al chilo (2,29/5,22 euro) a seconda della categoria, secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Osservatorio Nazionale dell’Agricoltura della Tunisia (Onagri). L’olio d’oliva tunisino confezionato ha rappresentato solo il 15% delle esportazioni.
A pesare è proprio la mancanza di trasparenza sulla reale origine dell’extravergine. Sulle bottiglie riempite con olio straniero è quasi impossibile nella stragrande maggioranza dei casi leggere le scritte «miscele di oli di oliva comunitari», «miscele di oli di oliva non comunitari» o «miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari» obbligatorie per legge. La scritta infatti è riportata in caratteri molto piccoli, posti dietro la bottiglia e, in molti casi, in una posizione che la rende difficilmente visibile. Una concorrenza sleale che trova spesso sponda nelle politiche commerciali di alcune catene della grande distribuzione che utilizzano l’extravergine come prodotto «civetta», con offerte al ribasso che destabilizzano il mercato e minano la reputazione dell’offerta. Un comportamento che svilisce il prodotto e altera la percezione dei consumatori non più disposti a pagare il giusto prezzo in un momento in cui la filiera è messa alla prova da costi crescenti, scarsità di prodotto e instabilità di mercato. Quattro consumatori su dieci considerano importante la provenienza nell’acquisto di extravergine secondo uno studio dell’Osservatorio Sol2expo Nomisma che evidenzia come al secondo posto viene il prezzo (18%) e poi la fedeltà alla marca (15%). Fuori casa, il 37% degli italiani vorrebbe poter scegliere l’olio dal menù, e 4 su 10 sarebbero interessati ad approfondire le caratteristiche dell’olio partecipando a corsi. Sembrano esserci margini di miglioramento sul fronte conoscenza. Solo il 37% degli italiani è consapevole del valore di superalimento che l’olio Evo incorpora grazie ad antiossidanti, polifenoli, vitamine e minerali.
dop e Igp
Una battaglia per la trasparenza portata avanti in Italia dalla Fondazione Evoo School impegnata sul fronte dell’educazione per aiutare a fare scelte di acquisto informate. Nata per volontà della Coldiretti e del Collegio Nazionale degli Agrotecnici, gode del supporto operativo di Fondazione Campagna Amica e di Unaprol (Consorzio Olivicolo Italiano). Il suo obiettivo principale è sostenere la conoscenza attraverso la realizzazione di incontri e corsi per studenti, consumatori, responsabili acquisti della Gdo e operatori della ristorazione. Si tratta di tutelare un comparto strategico. La filiera olivicola italiana si distingue per la qualità e la sostenibilità dei suoi prodotti con un patrimonio di 533 varietà di olive, il più vasto tesoro di biodiversità del mondo. L’Italia ha la leadership in Europa per il maggior numero di oli extravergini a denominazione (43 Dop e 7 Igp). Per quanto in lenta crescita la produzione di Dop e Igp è arrivata oggi a pesare per il 6% su quella nazionale, contro il 2% di dieci anni fa. Per quanto riguarda la produzione biologica, le superfici coltivate secondo questo metodo incidono per il 24% contro il 15% del 2013. Un valore riconosciuto all’estero con l’olio di oliva che dall’Italia raggiunge oggi 160 Paesi ed è stato pari nei primi sei mesi del 2025 a 231mila tonnellate in quantità (+18%) e di 1,4 miliardi in valore con un calo del 15% rispetto allo stesso periodo 2024 per effetto dei prezzi. Con 1/3 delle esportazioni in valore che si concentra negli Stati Uniti, ora a preoccupare sono i dazi e il tasso di cambio con il dollaro che rende più onerose le importazioni.
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