Quando poco meno di un anno fa Campari visse una delle sue peggiori giornate di sempre in Borsa, con un crollo del 15% susseguente ai numeri trimestrali ben sotto le aspettative del mercato, Matteo Fantacchiotti aveva da poco lasciato la guida del gruppo degli Aperol, durata il breve volgere di cinque mesi. Il top manager con ultraventennale esperienza nell’industria beverage a detta di molti pagò con la poltrona l’infelice uscita in cui esternò una persistente debolezza negli Stati Uniti, con la società costretta a una parziale rettifica di quanto detto dal suo ceo.
Le dinamiche di mercato dei 12 mesi successivi hanno dimostrato che i timori dell’ex ceo erano ben fondati con la debolezza della domanda di alcolici diventata cronica oltreoceano e le ultime statistiche sotto gli occhi di tutti: solo il 54% degli americani in età adulta consuma alcol oggi, la percentuale più bassa dal 1939. E anche coloro che bevono lo fanno ma in maniera più morigerata.
Il settore dei superalcolici indubbiamente mostra segnali di affanno negli Stati Uniti, un mercato chiave di sbocco per i grandi player beverage europei, dove si registra calo costante del 4% quest’anno (esclusi i cocktail preparati) secondo i dati Nielsen e la ripresa potrebbe richiedere ancora tempo. Il bicchiere appare mezzo vuoto anche in Cina, India e America Latina, così come in Europa dove pressioni sui prezzi difficilmente si attenueranno a breve. In un report sul settore beverage gli analisti di Bank of America rimarcano che il rischio per le previsioni di fatturato appare ancora al ribasso per i prossimi 6-12 mesi e il ritmo di crescita della «nuova normalità» rimangono incerti.
Sta di fatto che il saldo borsistico di Campari degli ultimi 12 mesi è negativo del 22%, con titolo lontano addirittura 56 punti percentuali dai massimi del luglio 2023. Una debacle che non è isolata perché anche l’andamento di competitor quali Pernod Ricard (-32% il saldo a 12 mesi) e Diageo (-29%) fa capire bene l’attuale crisi che attraversa il settore degli alcolici. Oltre ai cambiamenti nelle abitudini dei consumatori, a incidere sulle prospettive dei produttori europei ci sono anche i dazi applicati da Trump «che non coinvolgono solamente gli Stati Uniti bensì tutta la filiera a livello internazionale rendendo la domanda dei consumatori ancora più elastica, ossia il consumatore diventa più sensibile al variare del prezzo», argomenta David Pascucci, market analyst per Xtb.
Campari per cercare di dare una svolta ha scelto di affidarsi a Simon Hunt, un veterano del settore spirit che sin da subito ha fatto capire che ci vorrà pazienza e questo 2025 sarà un anno di transizione. Alla debolezza della domanda di alcolici si somma anche un problema aggiuntivo per Campari, ossia il suo debito non di poco conto; alla fine del primo semestr l’indebitamento netto era infatti pari a circa 3,2 volte l’ebitda rettificato. Anche per questo il gruppo, che negli anni è cresciuto notevolmente a livello dimensionale attraverso importanti acquisizioni – l’ultima da 1,2 miliardi di dollari della storica casa francese produttrice di cognac Courvoisier è stata completata l’anno scorso – ha deciso di stoppare ogni programma di M&A e concentrarsi sullo sviluppo dei suoi marchi più promettenti già in portafoglio.
Hunt ha fatto intendere che la priorità del gruppo sarà ridurre il debito, valutando eventuali sacrifici in termini di cessioni, come fatto lo scorso giugno cedendo lo storico liquore Cinzano per 100 milioni.
Tra gli analisti c’è una spaccatura sulle prospettive di ripresa di Campari. Il 40% del consenso raccolto da Bloomberg mostra fiducia con giudizio ‘buy’ (acquistare) e il 48% che invece consiglia cautela, ossia ‘hold’ (mantenere), mentre il 12% dice ‘sell’ (vendere). Il prezzo obiettivo medioè di 6,69 euro, con un rendimento potenziale del 19% circa rispetto ai livelli a cui il titolo viaggiava il 7 ottobre. Tra i più positivi spicca Bernstein che questa settimana ha reiterato il giudizio positivo indicando un ambizioso target a 10 euro. Anche guardando ai multipli a cui quota attualmente il titolo, non sembrano emergere spunti incoraggianti. Pascucci di Xtb non manca di sottolineare che il rapporto prezzo/utili a cui viaggia Campari risulta relativamente elevato, in area 36 ben al di sopra della soglia dei 27-30 che rappresenta di fatto la metrica standard per definire un titolo in sovrapprezzo.
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