Multa da 3,5 milioni di euro per il gruppo Armani per pubblicità ingannevole. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm) ha sanzionato Giorgio Armani e G.A. Operations, due società del colosso della moda, per greenwashing, o, in maniera più formale, per pratica commerciale scorretta nei confronti dei consumatori attuata dal 2022 fino al 18 febbraio 2025. Il motivo, nello specifico, riguarda dichiarazioni etiche e di responsabilità sociale false e ingannevoli in contrasto con le effettive condizioni di lavoro riscontrate presso fornitori e subfornitori cui è stata esternalizzata larga parte della produzione di borse e accessori in pelle a marchio Armani.
Pubblicità ingannevole e greenwashing
Dall’indagine dell’Autorità è emerso che le società del gruppo Armani hanno enfatizzato la loro attenzione alla sostenibilità, in particolare alla responsabilità sociale, anche nei confronti dei lavoratori e della loro sicurezza, che è diventata uno strumento di marketing utilizzato per rispondere alle crescenti aspettative dei consumatori. Una pubblicità ingannevole tinta di greenwashing. Del resto, il nome stesso del sito aziendale, Armani Values, lo dimostra, come anche alcuni documenti acquisiti nel corso delle ispezioni, da cui emerge con evidenza l’obiettivo di “aumentare la percezione positiva del brand dal punto di vista della sostenibilità … e dal punto di vista commerciale … portare il cliente a fare acquisti consapevoli anche dei ‘valori’ veicolati attraverso i nostri prodotti”.
Condizioni di lavoro inaccettabili
Non solo. Le due società hanno scelto di esternalizzare larga parte della propria produzione di borse e accessori a fornitori che, a loro volta, si sono avvalsi di subfornitori. Presso questi ultimi, in diversi casi, è emerso dalle indagini dell’Antitrust che erano stati rimossi i dispositivi di sicurezza dai macchinari per aumentarne la capacità produttiva, mettendo a grave rischio la sicurezza e la salute dei lavoratori. Inoltre, le condizioni igienico-sanitarie non erano adeguate, mentre i lavoratori erano spesso impiegati totalmente o parzialmente in “nero”.
Un contesto in cui è stato evidente per l’Autorità di vigilanza verificare che “il rispetto dei diritti e della salute dei lavoratori non era corrispondente al tenore delle dichiarazioni etiche e di responsabilità sociale diffuse da Giorgio Armani e G.A. Operations”.
Ma non è finita qui. Perché la situazione lavorativa presso questi subfornitori, a quanto pare, era chiara ad Armani. La consapevolezza di questa situazione gravemente lesiva dei lavoratori che producevano borse e accessori in pelle a marchio Armani è con evidenza provata, si legge nel riscontro dell’Agcm, anche dal fatto che, durante un’ispezione di polizia giudiziaria, era presente un dipendente di G.A. Operations preposto al controllo della qualità delle lavorazioni, il quale ha dichiarato di “recarsi mensilmente presso quel laboratorio da circa sei mesi”.
E poi, in un documento interno alla Giorgio Armani del 2024, precedente all’apertura della procedura di amministrazione giudiziaria richiesta dalla Procura della Repubblica di Milano, si afferma addirittura che “nella migliore delle situazioni riscontrate, l’ambiente di lavoro è al limite dell’accettabilità, negli altri casi, emergono forti perplessità sulla loro adeguatezza e salubrità”.
Codacons: “notevoli risparmi per Armani”
Nell’esposto all’Antitrust presentato dal Codacons l’anno scorso, emergeva un notevole risparmio da parte di Armani, considerati i salari al di sotto dei minimi contrattuali del comparto tessile, l’abbattimento degli oneri di sicurezza, la rimozione dei dispositivi di produzione per accelerarne la produttività, l’abbattimento degli oneri contributivi e assicurativi del personale ecc. “Una condotta che potrebbe configurare un pregiudizio alla libera e corretta concorrenza tra le aziende del settore e integrare una forma di pubblicità ingannevole ai danni dei consumatori che ignorano le effettive condizioni di lavoro degli operai addetti alla realizzazione dei prodotti dell’azienda” – scriveva il Codacons nella sua denuncia.
I consumatori che acquistano prodotti del colosso della moda spendono somme non indifferenti per acquistare capi di abbigliamento, calzature e accessori che, sulla carta, dovrebbero rappresentare l’eccellenza della qualità e delle lavorazioni. La multa dell’Antitrust sembra però dimostrare il contrario, aggiunge il Codacons, evidenziando come le forniture provengano da laboratori che impiegherebbero lavoratori con salari inadeguati, orari di lavoro oltre i limiti di legge e condizioni sanitarie e di sicurezza insufficienti. “Elementi che renderebbero del tutto ingiustificati i prezzi altissimi praticati al pubblico, realizzando un evidente danno per i consumatori”, sottolinea l’associazione.
Armani annuncia ricorso al Tar
La decisione dell’Antitrust viene accolta con “amarezza e stupore” dal gruppo Armani, che avrebbe così risposto, annunciando un ricorso al Tar, secondo quanto ripreso da alcuni organi di stampa. “Siamo certi di aver sempre operato con la massima correttezza e trasparenza nei confronti di consumatori, mercato e stakeholder”, avrebbe scritto l’azienda.
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